il Giornale, 23 febbraio 2023
La cancel culture? Si abbatte con l’ironia
Si allunga la polemica, nel mondo anglosassone come da noi, innescata dalle correzioni imposte ai libri di Roald Dahl, autore bestseller di libri per ragazzi. Tutto è partito dalla decisione, annunciata nei giorni scorsi nel Regno Unito dall’editore Puffin e condivisa dagli eredi dello scrittore, di eliminare alcuni termini sconvenienti/scorretti – «brutto», «grasso», «piccolo», «nano», «matto», «pazzo», «female» eccetera – da storie popolarissime come La fabbrica di cioccolato, Matilde, Gli sporcelli, Le streghe o James e la pesca gigante. E non si sa se l’aspetto peggiore della faccenda sia il fatto che a deciderlo è stata Netflix, che ha acquistato i diritti sull’opera di Roald Dahl (il mercato vince su tutto) o che a portare avanti l’operazione di restyling sia l’«Inclusive Minds», una società di cosiddetti sensitivity readers, figure professionali che hanno il compito di apportare modifiche alle opere letterarie per realizzare «inclusione e accessibilità» là dove necessario (una sorta di Ministero della Verità orwelliano). Il primo attacco contro il nuovo – ennesimo – caso di «cancel culture» è arrivato dal conservatore Daily Telegraph, poi, a cascata, il resto del mondo: quotidiani, siti e intellettuali di vari orientamenti, a partire da Salman Rushdie. E anche l’Italia ha fatto la sua parte. Come ha ricordato ieri Alessandro Gnocchi, qui sul Giornale, il caso è talmente eclatante che, con parecchio ritardo, persino la sinistra si è accorta che la cancel culture esiste, eccome; e può fare danni devastanti. Anche anime candide come Michele Serra su Repubblica, Nadia Terranova sulla Stampa, Massimo Gramellini sul Corriere della sera e – naturalmente con i soliti distinguo – Loredana Lipperini sul suo blog, hanno dovuto ammetterlo. L’ossessione woke è pericolosa. Benvenuti nel club: vi aspettavamo da parecchio. Conoscendovi, adesso diventerà la vostra battaglia... Comunque. Le strade per frenare la deriva «correttista» sono due. La prima è appellarsi all’autorità dei maestri (esempio, Mario Vargas Llosa: «Chi insiste affinché la letteratura diventi inoffensiva lavora in realtà per rendere la vita invivibile»; oppure l’iraniana Azar Nafisi, esperta nel ramo censure: «Cambiare il linguaggio nei libri di Roald Dahl cambia la storia così com’era e crea una storia falsa. Dobbiamo conoscere il passato, comprese le parti offensive. È così che evitiamo di ripetere l’offesa. Dobbiamo conoscerlo per cambiarlo, piuttosto che riscriverlo eliminandolo»). La seconda via invece è la satira, capace di sgretolare anche la peggiore delle ideologie. Ed è quello che ha fatto Marco Cassini, editore di SUR e anima di mille iniziative culturali, il quale ha lanciato su Twitter l’hasthag #riscriviamoli. Chi vuole giocare con me? E ha iniziato lui stesso, in perfetto endecasillabo rimato: «Allor ch’io avea un’etade indefinita/ mi ritrovai per una selva oscura, ché la dritta via era smarrita». Da lì è partito un divertentissimo gioco intellettuale per riscrivere i classici in linea con i nuovi standard inclusivi e politicamente, sessualmente, fisicamente ed etnicamente corretti. Tra le proposte si segnalano, e stiamo ai titoli più popolari, Il principe e il non benestante; Biancaneve e i sette uomini non altissimi (passibile di un’ulteriore correzione del termine sessista «uomo»: Biancaneve e sette persone non altissime è meglio); mentre Il brutto anatroccolo può diventare L’anatroccolo che era un tipo e, al posto del «gobbo», Il fisicamente sfavorito di Notre Dame. Di Samuel Taylor Coleridge citiamo La ballata del marinaio adulto. Di Ernest Hemingway Il non più giovanissimo e il mare (ma anche Il meno giovane e il mare). Di Gabriel García Márquez Memoria delle mie lavoratrici del sesso diversamente felici. E di Carlo Emilio Gadda – e qui citiamo la fonte: Angelo Cennamo, blogger e critico letterario per Telegraph Avenue – Quer pasticciaccio non proprio bello de via Merulana. Proposta invece per I miserabili di Victor Hugo: cosa ne dite di Non proprio splendidi? Poi, ci sono gli incipit. Per La metamorfosi di Franz Kafka basta un ritocchino: «Una mattina Gregor Samsa, destandosi da sogni inquieti, si trovò mutato, nel suo letto, in un vispo animaletto», poiché «insetto mostruoso» è offensivo. Mentre l’immortale ouverture di Anna Karenina necessita di un editing pesante. «Tutti i nuclei di persone senza problemi economici o sociali si assomigliano fra loro, ogni nucleo di persone affetto da disparità sociali, economiche o problemi di privilegio è affetto da disparità sociali, economiche o problemi di privilegio a suo modo». Anche se il premio Nobel delle correzioni lo merita chi ha riscritto l’incipit del Moby Dick. «Chiamatemi Ismael*». Così anche Michela Murgia e «quelle che la cancel culture non esiste» stanno tranquille. Post scriptum. Un consiglio del mio compagno di Spritz. Roald Dahl è morto nel 1990, e quindi non si può. Ma perché il direttore del Salone del Libro non affida la lectio inaugurale della prossima edizione a J.K. Rowling, altra scrittrice zittita? Titolo suggerito: «L’ideologia woke ucciderà l’Occidente». #riscriviamoli