https://www.criticaletteraria.org/2022/11/blog-post_813.html, 10 novembre 2022
La biblioteca di Umberto Eco
Milano. Un pomeriggio di inizio novembre, grigio e piovoso, strano per quest’epoca di sole quasi perenne. L’atmosfera è carica di emozione e di aspettativa perché mi sto apprestando a vivere un’esperienza unica e irripetibile. Probabilmente non accadrà mai più (tra poco capirete il perché) e io mi sento una privilegiata. Sto per entrare in uno dei sancta sanctorum della letteratura italiana: la casa, e soprattutto la biblioteca, di Umberto Eco. Sì, proprio quella diventata famosa a seguito del video, parte del documentario Umberto Eco. Sulla memoria. Una conversazione in tre parti, girato da Davide Ferrario nel 2015, che mostra Eco mentre cammina lungo la sua sterminata libreria alla ricerca di un libro. Che troverà nell’ultima sala. Peraltro, lo stesso Ferrario ha realizzato un nuovo documentario, Umberto Eco, la biblioteca del mondo, che è stato presentato alla recente Festa del Cinema di Roma (e che non mancherò di vedere).
L’occasione della visita alla casa-biblioteca di Eco nasce dalla presentazione dello splendido volume Una stanza tutta per sé. Dove scrivono i grandi scrittori, uscito in libreria per i tipi della casa editrice L’Ippocampo lo scorso 26 ottobre (la nostra Deborah Donato ne farà una recensione a breve qui sul nostro sito).Una stanza tutta per sé.
Dove scrivono i grandi scrittori
di Alex Johnson
L’Ippocampo, 2022
Con le illustrazione di James Oses
pp. 192
€ 19,90
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Il libro, corredato da bellissime illustrazioni, racconta i luoghi dove 50 grandi autori hanno amato o amano scrivere, da Victor Hugo a Ernest Hemingway, da Jane Austen a Paolo Cognetti, da Agatha Christie a Jack London. E poi ancora Murakami, Virginia Woolf, le sorelle Brönte e tantissimi altri. Tra questi, appunto, il nostro grandissimo Umberto Eco. Il quale scriveva sempre, giorno e notte, ma due erano i luoghi di elezione per il lavoro di scrittura: la casa di vacanze a Monte Cerignone, nelle Marche, e il grande appartamento nel centro di Milano, con affaccio su piazza Castello.Ed è proprio qui, in compagnia dello staff de L’Ippocampo e di altri pochi giornalisti selezionati, che io, in rappresentanza di CriticaLetteraria, sto entrando.
A farci da cicerone, due persone eccezionali, Carlotta Eco, la figlia del grande scrittore, docente, saggista, studioso, traduttore, semiologo e tanto altro ancora, e Mario Andreose, presidente de La Nave di Teseo, la casa editrice fondata, tra gli altri, da Eco stesso, e amico personale dello scrittore. Un motivo in più per capire quanto eccezionale sia stato l’invito da parte della famiglia Eco e da parte de L’Ippocampo. Eccezionale per l’importanza delle nostre guide, legate a Eco da un rapporto di familiarità (e quanti aneddoti gustosi ci hanno raccontato nel pomeriggio) e poi perché la biblioteca, essendo nella casa privata di Eco, non è aperta al pubblico. Un’occasione ancor più straordinaria, difficilmente ripetibile, come dicevo prima, perché i circa 30mila libri di cui si compongono le incredibili stanze della casa rimarranno in questi spazi ancora per poco, un anno forse o poco più. Tutti i volumi sono stati infatti oggetto di donazione alla Biblioteca Universitaria di Bologna dell’Alma Mater. Dove già ha sede il Centro internazionale di studi umanistici “Umberto Eco”, inaugurato nel 2017, che ha raccolto l’eredità della Scuola Superiore di Studi Umanistici da lui fondata.Per tutti questi motivi, noi, sparuto manipolo di giornalisti che stiamo per varcare la soglia di casa Eco siamo ben consapevoli del privilegio che ci è toccato in sorte e ci comportiamo di conseguenza... poche parole e pochi sguardi servono a renderci complici, compagni, quasi amici... accomunati dall’attesa dell’evento che sta per compiersi.All’uscita dall’ascensore ci accoglie Carlotta, elegante, sobria e dal sorriso coinvolgente. Entriamo in punta di piedi in quelli che erano gli spazi privati del grande autore del Il nome della rosa, giusto per citare un titolo.
La prima stanza in cui ci troviamo è il salotto di Eco, dove sono conservati i libri d’arte e i libri “da esposizione”, come le enciclopedie importanti o gli atlanti. I libri antichi che qui avevano dimora sono ora conservati alla Biblioteca Nazionale Braidense di Milano, in uno spazio accanto a quello dedicato ad Alessandro Manzoni, lo “Studiolo": si tratta di 1.300 titoli rari, tra cui 36 incunaboli, della Bibliotheca semiologica, curiosa, lunatica, magica et pneumatica, come Umberto Eco amava definire la sua stessa collezione di libri.
Qui, tra un pianoforte ingombro di libri e un tavolino che raccoglie gli ultimi arrivi (la biblioteca di Eco, nonostante lo scrittore ci abbia lasciato sei anni fa, è un organismo che vive, cresce, cambia, si trasforma), un mobile attira subito la nostra attenzione: la vetrina che fa bella mostra di sé nel mezzo della stanza. La bacheca contiene alcuni libri antichi illustrati e molti oggetti. Come ci spiega Mario Andreose, Umberto Eco era solito utilizzare questo spazio espositivo per mettere in mostra i temi delle sue ultime ricerche o dei suoi interessi del momento, in modo da mostrarli subito a coloro che entravano in casa sua. E già immaginiamo gli stimoli di conversazione che potevano nascerne.
Carlotta ci fa strada e prima di addentrarci nel corridoio si ferma nel vestibolo dove uno scaffale è dedicato a James Joyce, autore prediletto. Insieme a testi sulla cabala, sul mistero, sulla magia: qui troviamo volumi sulla storia dei Templari, sul diavolo, sull’alchimia. A testimonianza degli interessi di Eco per il Medioevo. Subito ci incuriosisce capire qual è l’ordine di catalogazione, un dilemma che tutti noi sperimentiamo nelle nostre, ben più modeste librerie: ordine alfabetico? per autore? per casa editrice? Niente di tutto ciò, Eco catalogava per simpatia, per affinità intellettuale, come ci spiega la figlia.
Arriviamo quindi nel corridoio della casa, una teoria infinita di scaffali che sembrano non finire mai. È il “bosco narrativo” di Eco, il suo substrato immaginario, i grandi scrittori dai quali ha tratto pane e sapienza. Da Dante ai contemporanei. Qui, ad altezza occhio, sono esposti gli autori italiani e francesi, i testi da lui letti e riletti. Mentre nei reparti più alti e più bassi, una sorpresa: i suoi amati fumetti. Topolino, Paperino, le Sturmtruppen, Mandrake, Linus e i Peanuts. E ancora, Asterix, L’uomo mascherato, Il Corriere dei Piccoli, alcuni completamente riacquistati, in albi vecchi, perché parte della sua infanzia. Insomma, una vera e propria emeroteca dedicata all’arte del fumetto, che per Eco aveva assoluta dignità letteraria, se è vero che una volta scrisse “Quando ho voglia di rilassarmi leggo un saggio di Engels, se invece desidero impegnarmi leggo Corto Maltese”. La nona arte è stata in effetti oggetto di studio da parte di Eco, con i suoi linguaggi, i processi di lettura e di consumo, come forma di comunicazione di massa. Fu il primo a sdoganare l’analisi accurata di questi testi in un ambiente, quello universitario, nel quale mai nessuno si sarebbe sognato di ammettere che leggeva Diabolik o Topolino. Men che mai scriverne e trattarlo da materia di studio.
E che insieme al serio, Eco amasse anche il leggero, lo dice anche la sua sterminata biografia professionale: negli anni 60, quando lavorava in Bompiani, diresse una collana, “Amletica leggera”, ora curata da Stefano Bartezzaghi, di umorismo e satira che vide la pubblicazione dei libri di Woody Allen, di Paolo Villaggio, di Enzo Jannacci. Giusto per fare qualche nome. “Mio padre aveva bisogno di divertimento”, conferma Carlotta. Allo stesso sentimento letterario appartengono le collezioni di feuilleton, romanzi popolari, letti in giovinezza e ricomprati in età adulta, un immenso bacino di immagini che ritroviamo in tante delle sue opere, per esempio ne Il cimitero di Praga.
E proprio come lo scrittore nel video di Ferrario camminava e camminava in mezzo ai suoi volumi, anche noi, quasi storditi dalla quantità di libri ben allineati negli scaffali, cercando di leggere qua e là qualche titolo, sfiorando con un dito qualche dorso per provare l’emozione di un contatto libresco con l’autore, procediamo e ci ritroviamo nello studio di Eco, il grande e luminoso spazio dove scriveva incessantemente: saggi, trattati, romanzi, articoli di giornale, prolusioni accademiche (gli furono assegnate ben 42 lauree honoris causa), lezioni, cicli di conferenze. Insomma, la sterminata produzione intellettuale di Eco, che tutti ben conosciamo, almeno nelle sue dimensioni, si produceva qua (e in parte nella casa di villeggiatura), spesso nottetempo.
"Mio padre lavorava ascoltando musica ad altissimo volume”, racconta Carlotta, “da Bach a Chopin, dal jazz allo swing. Era di un eclettismo musicale pazzesco, era collegato con stazioni radiofoniche americane che trasmettevano musica sconosciuta in Italia. Poteva passare dal musical americano alla musica barocca, lui che suonava il flauto dolce”.Anche Mario Andreose rievoca gli incontri personali in quel di Monte Cerignone, dove allo scrittore piaceva molto ospitare gli amici. “E al termine di quelle serate passate a tavola, a suonare, a parlare, a cantare, a fare giochi di società, teatro di cabaret, mentre tutti noi ci avviavamo a dormire, Umberto iniziava le sue ore di lavoro, che potevano durare fino alle 3 o alle 4 di notte. Era instancabile”.All’ingresso dello studio ci aspetta la sezione dei libri di e su Umberto Eco, tutti i suoi lavori, tradotti in un numero impressionante di lingue (Il nome della rosa, per esempio, è stato tradotto in oltre 60 idiomi diversi) e i libri che altri autori hanno scritto su di lui.
Proprio alle spalle della sua scrivania ci sono gli scaffali con gli "strumenti di lavoro": i dizionari, i vocabolari di moltissime lingue e dialetti, i dizionari enciclopedici, lessicali, geografici, tutto ciò che possiamo ascrivere al termine di “enciclopedia”, concetto assai caro al panorama intellettuale di Eco. Un angolino dedicato alla letteratura di viaggio ci racconta delle fonti de L’isola del giorno prima. E se un’intera parete è dedicata alla filosofia, dai Presocratici ai contemporanei, l’altro lato della stanza, quasi a fare da ideale contrappunto di interessi, è dedicato al campo massimo della scrittura echiana: la semiotica, la linguistica, i libri sulla letteratura, sulla teoria letteraria, sulla biblioteca-mondo. Alcuni libri sono corredati da un’etichetta e un numero. Carlotta, che sta procedendo all’immenso lavoro di archiviazione, ci spiega che sono i libri annotati o dedicati (che contengono cioè una dedica scritta a mano). Ne sfoglia uno per mostrarcelo e abbiamo la sorpresa di vedere la scrittura di Umberto Eco, fitta fitta e minuta, a margine del foglio. Appunti personali, rimandi ad altri autori in una sorta di dialogo letterario che traccia fili invisibili tra i volumi di queste stanze.Disseminati qua e là, sulle pareti, i suoi ritratti scherzosi che l’hanno reso un’icona riconoscibile in tutto il mondo letterario.
Tra uno sguardo all’ultimo scaffale, un’ultima occhiata al mondo di carta da cui siamo circondati, un ricordo della figlia e qualche domanda, purtroppo si è fatta l’ora di congedarci. Mi metto in fondo alla fila per poter godere qualche istante in più del profumo della biblioteca, per lanciare qualche avido sguardo ai titoli del corridoio e per portare con me il ricordo di questo pomeriggio così intenso. Usciamo sotto la pioggia con la sensazione, quasi, di risvegliarci da un incantesimo a un batter di mani. Grazie alla famiglia Eco e grazie a L’Ippocampo.
Sabrina Miglio