La Stampa, 22 febbraio 2023
La guerra raccontata ai bambini
Perché non scrivi un libro sulla guerra per i ragazzi di oggi?».
L’idea, lo confesso, mi ha spiazzato. Sono un giornalista che racconta i conflitti, quando cominciano i combattimenti devo essere pronto a partire. Per questo ho scritto molti libri sulla guerra (troppi, ahimè! Vuol dire che purtroppo è sempre di attualità); ma sempre libri i cui lettori dovevano essere adulti, lettori cioè informati attraverso i giornali, la televisione e i nuovi mezzi di comunicazione della realtà tragica dei conflitti tra gli uomini. Ma i ragazzi? Che sapete, voi ragazzi di oggi, veramente, della guerra? Poco o nulla: la guerra per voi è spesso quella finta dei film e dei videogiochi, in cui tutto è scopertamente finzione e alla fine, dopo i titoli di coda o il punteggio totalizzato, compare la parola “fine” e tutto torna a posto, in ordine. La nostra società, italiana, europea, occidentale, è costruita sull’idea che la guerra sia qualcosa di superato, che da noi c’è la pace.
Per le generazioni più recenti la guerra è dileguata in un passato da consultare, per fortuna, sui libri di storia; o da cercare sull’atlante in zone arretrate e periferiche del mondo, dove miseria e fanatismi impediscono di rendere stabile la coesistenza di religioni, etnie e costumi diversi. Ma prima o poi anche lì, si assicura, il problema sarà risolto. Perché allora parlare della guerra ai bambini e ai ragazzi? Bisogna, si penserebbe, tenerli lontani da questa realtà spiacevole, mostrare solo quello che nel mondo funziona e diventa progresso. Ovvero ciò che è presente e soprattutto futuro. Invece… Con l’inizio travagliato di questo nuovo millennio sono accadute alcune cose gravi e inaspettate. I fatti sono noti. L’attentato che ha fatto crollare i due grattacieli di New York nel settembre del 2001, organizzato dal miliardario terrorista Osama Bin Laden, ha scatenato in molti luoghi del mondo, dall’Iraq all’Afghanistan, guerre senza fine legate al fanatismo religioso, a un’idea violenta della religione musulmana praticata da una piccola, feroce minoranza che vuole fare guerra a tutto il mondo che considera empio. La guerra si è allargata fino a raggiungere anche l’Europa, dove attacchi terroristici a Madrid, Parigi, Londra hanno trasformato alcune capitali in luoghi di guerra e di sangue come la Siria, la Cecenia o la Libia.
Poi, all’inizio del 2022, quello che nessuno avrebbe potuto davvero immaginare. Al centro dell’Europa, a due ore di viaggio da Milano, la Russia ha invaso la vicina Ucraina: i morti sono già decine di migliaia, e milioni di profughi ucraini, donne e bambini, per sfuggire i bombardamenti spietati su villaggi e città hanno cercato riparo negli altri Paesi europei. I combattimenti sfiorano centrali nucleari; scendono in campo, inviando armi agli ucraini, anche gli Stati Uniti e i Paesi europei. La guerra interrompe il commercio pacifico del grano e il mondo, soprattutto quello più povero, rischia l’apocalisse della carestia. Riappare, dopo le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki nel 1945, quello che ormai sembrava un fantasma del passato, ovvero la guerra atomica tra Stati Uniti e Russia, le due grandi potenze che dispongono di almeno diecimila ordigni nucleari che possono trasformare il pianeta in un deserto.
Ecco allora che un libro sulla guerra deve essere scritto, perché anche per coloro che oggi sono ragazzi, che si preparano a diventare adulti, questo sarà un male che bisognerà conoscere, combattere, limitare: e forse un giorno, chissà, eliminare per sempre.
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I guerrieri
Per capire chi siano stati i guerrieri nel corso della Storia bisogna naturalmente partire da lui, il cavaliere senza macchia e senza paura, Pierre Terrail, signore di Bayard, che noi italiani ben presto trasformammo in Baiardo. Questo fedele soldato dei re di Francia fu l’ultimo dei cavalieri antichi. Non c’era guerra a cui lui non accorresse come a una festa, un guerriero con la sua armatura splendente, i pennacchi, il cavallo da battaglia anche lui coperto di ferro. All’inizio del 1500 il re di Francia era Francesco I, e anche lui si vantava di essere uno di quei prodi capaci di ripetere le gesta degli antenati, come l’imperatore Carlo Magno e i suoi paladini, Rolando e Orlando, che avevano combattuto contro i “mori’’ ed erano già passati dalla Storia alla leggenda.
Nel 1509 fu Baiardo a confezionargli la vittoria in un luogo chiamato Agnadello, in Lombardia. Gli storici definivano quelle mischie confuse “le guerre d’Italia”. Perché sfortunatamente per noi, proprio le ricche pianure del nostro Paese e le sue città che custodivano meraviglie artistiche e soprattutto i ricchi forzieri di banchieri e mercanti ingolosivano i re di Francia e Spagna, spingendoli a scavalcare le Alpi. Neppure gli assedi spaventavano quel cavaliere indemoniato. Gli spalti munitissimi di Brescia, definiti imprendibili da tutti i sapienti della guerra, li aveva scalati con lo spadone in pugno, come se fossero una collinetta. Ma la sua impresa più celebre, che l’aveva consegnato alla fantasia di poeti e menestrelli, aveva avuto come palcoscenico il Piemonte, a Villafranca, una piccola fortezza che sbarrava la strada verso la pianura padana. Fu lì che prese prigioniero uno dei grandi condottieri dell’epoca, un professionista della guerra, l’italiano Prospero Colonna, che aveva messo i suoi ben remunerati talenti al servizio del re di Spagna. Tutto, come imponeva la leggenda di Baiardo, si era svolto secondo le antiche buone regole della cavalleria. Prospero Colonna, circondato, difeso da un pugno dei suoi fedelissimi, aveva riconosciuto la vittoria del suo grande avversario. Aveva messo il ginocchio a terra e gli aveva consegnato la spada, tenendola con entrambe le mani, in segno di resa.
Baiardo, a sua volta, era stato perfetto. Si era chinato con gesto gentile verso il nemico sconfitto e aveva raccolto la spada, mormorando parole di conforto e di ammirazione per il coraggio sfortunato del suo nemico. Tutto si era svolto come descritto nei manuali delle giostre medievali quando i cavalieri si battevano per una bella dama. Il premio era un semplice manicotto con i colori del suo stemma. Anche nei tornei Baiardo era una star. In una sfida rimasta memorabile – come oggi succede per la finale di un campionato di calcio o di un grande torneo di tennis – aveva disarcionato quindici avversari conquistando l’amore di una celebre contessa.
Baiardo è il simbolo vivente di un tempo ormai scivolato nella leggenda: il tempo eroico dei guerrieri e dei cavalieri. Ma la guerra è sempre morte e violenza. Non è mai esistita una guerra gentile, senza spargimento di sangue, senza dolore e disperazione per coloro che restavano a piangere la perdita di un fratello, di un padre, di un marito.
Ma al tempo dei guerrieri tutto doveva avvenire secondo un rito molto rigoroso: si uccideva il nemico, certo, se si aveva la forza, ma bisognava anche rispettarlo. Il successo arrideva a chi era un uomo più valoroso, non a chi approfittava di astuzie e dell’inganno, perché questo avrebbe provocato al vincitore un danno che era più grave della perdita della vita, una indelebile macchia sull’onore. Onore: quante bugie erano nascoste in questa parola. Valeva innanzitutto soltanto per coloro che appartenevano alla società aristocratica, che si dedicavano alla guerra, perché nell’ordine divino era stato scritto che a loro era toccato questo compito. Agli altri, ai poveri, toccava la fatica di lavorare nei campi e nelle botteghe; e ai sacerdoti quello di pregare, con diverso impegno, per la salvezza degli uni e degli altri.