La Stampa, 22 febbraio 2023
Le confessioni di J.K. Rowling
Nel 1999 sono venuta per la prima volta a sapere che i miei libri venivano bannati. Che c’era un movimento che chiamava i miei libri pericolosi e immorali. Venivano usate parole estreme: che stavo danneggiando i bambini, che ero una strega, che stavo avvelenando le loro menti.
Con l’inizio degli anni 2000 tutto improvvisamente sembra diventare più enorme e dal mio punto di vista più folle. All’epoca durante i firma copie in libreria c’erano code di migliaia di persone. Una volta ci fecero evacuare per un allarme bomba, apparentemente da parte di un personaggio appartenente alla destra ultra conservatrice cristiana. C’erano altri libri che parlavano di stregoneria, ma credo che il problema con i miei sia stato l’enorme successo, la sua misura.
Nelle interviste di allora fui costretta a chiarire che non credevo nella stregoneria e che non era mia intenzione insegnarla ai bambini. Vedere i miei libri bruciati, assistere ai tentativi di rimuoverli dalle biblioteche scolastiche, cercare di capire cosa passa nella mente di queste persone: è un tema che è presente in tutti i libri di Harry Potter ovvero l’idea che il concetto di essere dalla parte del giusto non è incompatibile con il compiere azioni abominevoli. Molte delle persone che appartengono a gruppi capaci di azioni terribili considerano loro stessi come appartenenti alla parte giusta, credono di fare la cosa giusta.
Dal mio punto di vista bruciare libri rappresenta, per definizione, il trapassare la soglia del dibattito razionale, il distruggere l’idea con cui non sono d’accordo, distruggere la sua rappresentazione. Non c’è libro su questa terra che merita di essere bruciato, inclusi libri che personalmente penso possano recare danno. Bruciare libri è l’ultima risorsa per persone che non sono in grado di discutere. (…)
Al centro della saga di Harry Potter e al centro della mia visione del mondo c’è l’idea che esistano un bene e un male, anche se sono contraria a una visione dualistica bianco e nero della natura umana. Il personaggio del cattivo senza speranza in Harry Potter ha de-umanizzato se stesso: in modo del tutto consapevole Voldemort ha reso se stesso privo di qualità umane, crede che il comportamento umano sia debole e quello che resta di se stesso è meno che umano.
Quello che cerco di mostrare nei libri è che l’idea di un bianco e nero è molto affascinante, è la via più semplice, e per molti versi è la più sicura. Assumere una posizione “tutto o niente” su qualsiasi tema ti garantisce di trovare la tua bolla, la tua comunità. Ma quello che credo profondamente è che dovremmo dubitare di noi stessi proprio quando siamo troppo sicuri. Dovremmo fare domande a noi stessi quando riceviamo una scarica di adrenalina dopo aver detto o fatto qualcosa.
Molti confondono questa botta di adrenalina con la voce della coscienza: ho avuto una scarica dopo aver detto questa cosa, devo per forza essere nel giusto. Io penso che la coscienza parli invece con una voce minuta e scomoda, una voce che ti dice: pensaci ancora, guarda più in profondità, prendi in considerazione anche questa cosa.
Dall’inizio una delle cose che mi ha colpito di più di tutto il fenomeno Harry Potter è quanto i due personaggi che causano il dibattito più furioso siano Dumbledore e Snape. La gente vuole che Dumbledore sia perfetto, ma in realtà è pieno di difetti. Per me è un esempio: ha sbagliato, ha imparato, è diventato più saggio. Ma ha dovuto prendere delle decisioni difficili, di quelle che la gente prende nel mondo reale. Dall’altra parte c’è Snape: senza dubbio un bullo, a volte sadico, incattivito, ma anche coraggioso, determinato a correggere i propri errori.
Molti fan della saga vorrebbero da me una condanna di Snape, vorrebbero che fossi d’accordo con loro che è un personaggio negativo, ma non posso, non è quello che penso. Le persone commettono errori e hanno difetti, tutti gli esseri umani li hanno, ma sono anche capaci di grandi cose, e intendo grandi cose in senso morale, non nel senso di aver successo. —