la Repubblica, 22 febbraio 2023
A vent’anni dalla morte di Alberto Sordi
In questo momento storico, non particolarmente fasto, un attore comico è presidente di uno stato in guerra. Non usiamo volutamente la formula “ex attore”: Volodymyr Zelensky ha solo 45 anni e forse un giorno tornerà al suo primo lavoro – per certi versi, glielo auguriamo. In passato, un attore (non comico) ha fatto il presidente degli Stati Uniti e un altro attore (qualche volta comico, non sempre volontariamente) è stato governatore della California: Ronald Reagan non è più ritornato a recitare, Arnold Schwarzenegger sì.
Alberto Sordi è stato sindaco di Roma per un giorno: il 15 giugno del 2000, giorno del suo ottantesimo compleanno. L’allora sindaco Francesco Rutelli gli consegnò per 24 ore le chiavi del Campidoglio. Ma verso le cinque del pomeriggio, dopo un inenarrabile bagno di folla, si rivolse così al “collega”: «A Rute’, ripijate ’a fascia, che qui nun è aria».
Il rapporto di Sordi con la politica potrebbe sembrare secondario rispetto alla carriera dell’attore e invece ci sembra centrale, anche ripensando al giorno della sua morte, avvenuta esattamente vent’anni fa, il 24 febbraio del 2003: la gente raccolta sotto quello stesso Campidoglio, l’omaggio delle istituzioni. I legami tra Sordi e il potere – sia palesi sia sommersi – sono parte integrante della sua personalità. Era amico personale di Giulio Andreotti, al punto di averlo come partner in una scena di Il tassinaro. È stato amico personale di Walter Veltroni, per il semplice fatto che il padre di Walter, Vittorio, lavorava alla Rai ed è stato assieme a Ettore Scola co-autore delle prime leggendarie “macchiette” radiofoniche, Mario Pio e il Conte Claro. Ha mantenuto rapporti importanti con leader politici, presidenti della Repubblica, presidenti della AS Roma, papi e cardinali. Ha cullato a lungo il sogno di interpretare un film su Henry Kissinger. Giuliano Montaldo ci raccontò una volta che fra i suoi progetti non realizzati c’era un film sul grande poeta Giuseppe Gioacchino Belli, e che Sordi ne sarebbe stato il perfetto protagonista. Ma, interpellato in proposito, aveva declinato: «Sì, er Belli! E poi, quando arrivo su da San Pietro e quello mi rimprovera di aver interpretato un mangiapreti che scriveva sonetti intitolati “er cazzo se po di’”, che je racconto?».
Anche per questo, Sordi non ha eredi. Quale attore italiano di oggi può ambire a fare il sindaco, sia pure per un giorno? Quale attore italiano (non solo comico) può trattare da pari a pari con i potenti? Quale artista italiano ha lo stesso legame profondo con la propria gente? Forse la Ferragni, che artista non è. E comunque nemmeno lei potrebbe comporre un’antologia dei propri post su Instagram e intitolarla Storia di un’italiana. Al massimo sarebbe la storia di una influencer. Parlando di attori, e restringendo il campo ai romani, anche uno straordinario artista come Carlo Verdone può fare Vita da Carlo,che poi è la sua vita, non quella di tutti noi.
Per carità: romani che fanno ridere, al cinema e in tv, ce ne sono sempre. È una tradizione che parte da Plauto, passa per Petrolini e Aldo Fabrizi, arriva a Verdone e Gigi Proietti, alle due strepitose Paole: Minaccioni e Cortellesi. E sicuramente su YouTube o su TikTok stanno nascendo fenomeni chedobbiamo ancora intercettare. Ma a fare la differenza è sempre il suddetto titolo: Storia di un italiano.Quel programma televisivo andò in onda per la prima volta nel 1979. Occhio alla data: significa che Sordi ebbe l’idea poco dopo Un borghese piccolo piccolo, film del 1977. Perché grazie alla sua intelligenza aveva capito che oltre quel film era impossibile andare. Lui, Monicelli e Cerami (autore del romanzo omonimo) non avevano solo seppellito la commedia all’italiana: avevano messo la parola “fine” a un fenomeno culturale straordinario, alla prodigiosa identificazione fra una cinematografia e unpopolo. In Sordi, e in altri attori come Manfredi, Gassman, Tognazzi, Vitti, Mastroianni, Totò – ma soprattutto in Sordi, più di chiunque altro – gli italiani si erano riconosciuti. Il cinema era stato lo specchio di un Paese, nel bene e nel male, dal ’45 in poi: la fine della guerra, i conti irrisolti con il fascismo, gli entusiasmi e le delusioni della ricostruzione, il boom, le nuove libertà degli anni Sessanta. Poi, che succede? In Un borghese piccolo piccolo un uomo ormai anziano vede morire il figlio (di nuovo, niente eredi) e uccide il suo assassino, che a sua volta potrebbe essere suo figlio. Finisce la commedia all’italiana, finisce la centralità del cinema nella cultura e nel costume dell’Italia. E finisce il rapporto simbiotico fra Sordi e il suo popolo, e anche fra Sordi e coloro che quel popolo lo governano.
Dopo, è tutta un’altra storia. Oggi bisogna cercarsi altri modelli. Ed è difficile trovarli al cinema. Anche Luca Medici/Checco Zalone ora è in tournée in teatro, ed è l’unico che abbia la sua genialità e la sua cattiveria. Ma è diversissimo da Sordi: è un formidabile musicista prima che un attore, lavora più sulla parodia che sulla creazione di personaggi, ha il respiro dello sketch, non dei film. Tra mezzo secolo cercheremo un suo erede. E non lo troveremo. Perché i fuoriclasse sono irripetibili.