la Repubblica, 22 febbraio 2023
In morte di Harry Shindler
È possibile riempire fino all’orlo una vita lunga 102 anni, colmarla di storia e di storie, di affetti, di guerre, di battaglie per i diritti, e andarsene con ancora «tanto lavoro da fare», come diceva sempre lui. Harry l’ha fatto, con la leggerezza e la resilienza di un leone.
Harry Shindler, l’ultimo soldato inglese sbarcato ad Anzio ancora in vita, se ne é andato con il sorriso irresistibile che accompagnava le sue impagabili barzellette in classico humor britannico. Era nato nel 1921 a Londra, nello stesso quartiere di Charlie Chaplin, un’infanzia dickensiana («Portavo il sacco di carbone per riscaldare casa, ancora ricordo la nebbia di fuliggine che rimaneva sospesa nelle stanze per tutto il giorno»), il lavoro da giovanissimo operaio e l’impegno nel sindacato, il tifo per l’Arsenal, fino all’irrompere della guerra che ha segnato la storia del Novecento: «Come tutti i giovani ero pacifista, ma quando ho capito per cosa si combatteva in Europa non ci ho pensato due volte ad arruolarmi». Anche in guerra Harry ha visto bene di fuggire dalla banalità, per quanto ci può essere di banale in una carneficina: iscritto al Workers’ International League e al Revolutionary Communist Party (insomma, un trotzkista), era controllato dai servizi segreti militari che temevano facesse proselitismo filocomunista tra i soldati: «Ma quando ho capito che c’era chi voleva continuare a combattere anche dopo la guerra nel nome di Mosca, sono diventato un semplice laburista». Lo sbarco di Anzio resta lo spartiacque della sua vita. «Per tanti anni, a guerra finita, mi svegliavo improvvisamente nel buio della stanza a casa, pensando di essere a bordo della nave che ci portava verso la spiaggia». Quei quattro mesi con il fiato della morte soffiato sul viso dai nazisti che sparavano dai Colli Albani, la liberazione di Roma, le battaglie risalendo l’Italia fino alla sconfitta del nazifascismo. Un vissuto che ha trasformato in testimonianza perenne dopo essersi sposato e trasferito in Italia, a San Benedetto del Tronto.
Un impegno che è diventato negli anni della vecchiaia una vera missione, un’archeologia della memoria che lo ha portato a scoprire e a onorare le storie piccole e grandi di chi era scomparso nell’oblio, ariempire i vuoti delle famiglie dei dispersi in missione, trovando documenti, testimonianze, sepolture. Una missione che gli è valsa la nomina a membro dell’Ordine dell’impero britannico e che ha incrociato l’esistenza di Roger Waters, il fondatore dei Pink Floyd, al quale ha riempito il vuoto esistenziale della perdita in guerra del padre, rintracciando il punto esatto dove Eric Fletcher Waters perse la vita colpito dal fuoco dei carrarmati nazisti. «Ha lavorato instancabilmente per garantire che i sacrifici dei suoi compagni non fossero dimenticati», dice l’ambasciatore britannico a Roma, Edward Llewellyn.
Prima di questa ennesima vita, fatta anche della collaborazione con l’Anpi, Harry aveva fatto in tempo a vincere una battaglia sindacale che ha fatto epoca in Inghilterra: negli anni Settanta, guidando un piccolo sindac ato dei lavoratori dei pub, aveva piegato le manovre poco chiare della principale organizzazione sindacale del Paese costringendo alle dimissioni il leader storico. E poi l’ultimo “capolavoro”: la campagna per il voto degli inglesi residenti all’estero, conclusasi lo scorso anno con l’approvazione di una legge (battezzata dai parlamentari, appunto, “legge Shindler”) che ha consegnato a 5 milioni di expat il diritto a partecipare alle elezioni in patria. L’ultima lezione di Harry.