Corriere della Sera, 22 febbraio 2023
Nel mondo di Mann
Uno scrittore irlandese, Colm Tóibín, scrive un romanzo su Thomas Mann. Una sfida ardita, soprattutto perché l’ha già scritto Mann stesso in diverse occasioni e frammenti, non solo per dirigere la propria biografia, della cui importanza per il mondo era consapevole anche prima che fosse giustificato dal successo dei suoi capolavori, ma anche per contenere e insieme potenziare quell’elemento demonico della propria vita che sostanzia la sua scrittura e di cui egli, nei commenti a se stesso, si libera per non venire risucchiato nella sua immagine complessiva, conservandone insieme il fascino inquietante. Ogni scrittore, quanto più è grande, ha in tasca, come un giocatore, delle carte complesse, pericolose e insieme accomodanti per quel che riguarda ciò che ci si attende dalla sua immagine. Grandi o grandissimi autori – Tolstoj, Céline, Brecht, per citarne solo alcuni – sono spesso anche controfigure della loro grandezza ossia – nel loro caso, visto il loro ruolo nel mondo e nel racconto del mondo – della grandezza dell’arte.
Il libro di Tóibín apre la custodia che Mann si è costruito per proteggere il proprio volto da ciò che esso ha, nel profondo, di sconveniente per l’ethos borghese di cui la sua opera è un monumento. Un monumento vero, appassionato, che pure contiene in sé la propria negazione. Quando, molti anni fa, fu presentato, al Festival del Cinema di Venezia, il film Morte a Venezia di Luchino Visconti tratto dal romanzo omonimo – due capolavori assoluti – ricordo un anziano aristocratico polacco che evocava, senza troppa precisione o interesse, un signore tedesco che tanti anni prima gli aveva rivolto insistenti attenzioni che quel film gli riportava alla memoria. Certo, poco o nulla di quell’Assoluto struggente e devastante che è Morte a Venezia, l’amore che si rivolge alla corruzione nel duplice senso della parola, morale e fisico, amore per ciò che non può durare, come non lo può la vita che nasce per morire e seduce e corrompe quando fa vedere e toccare con mano ciò che inclina alla morte o lascia avvertire il suo ancor lontano avvicinarsi.
Nel romanzo di Tóibín, il Mago che gli dà il titolo – anch’esso preso da Mann – è, specie all’inizio, un richiamo del sesso e della sua ambiguità, in cui l’omosessualità s’inserisce con insistenza ma con molto meno pathos e poca o nessuna tragedia, come quando coinvolge pure, nell’adolescenza, i giochi di Thomas e dei suoi fratelli, diversamente dal tragico e dionisiaco che pervade il romanzo e altri testi narrativi di Mann, a cominciare dalla Montagna incantata, dove la morte può assumere ogni volto, il biancore della neve, le fessure tartare degli occhi di Madame Chauchat che ricordano al protagonista un ragazzo della sua adolescenza, le dispute filosofiche tra Naphta e Settembrini. Il mondo intero è struggimento, corruzione, sessualità ambigua, guerra apparentemente lontana ma immanente a tutte le cose.
Se nei messaggi e nelle dichiarazioni Mann si vela, nell’opera letteraria – tanto più complessa – egli si svela in modo più profondo. L’avvento del nazismo è stato per lui una fortuna, perché gli ha permesso – lo ha costretto – a una scelta più precisa della democrazia, che non era nel profondo delle sue corde, neanche dopo la svolta avvenuta con la fine della Prima guerra mondiale. Ma al suo – importantissimo – impegno democratico manca quell’aura poetica che c’è nelle sue Considerazioni di un impolitico. E che l’impegno politico non potesse venir vissuto con l’intensità ambivalente dell’arte e dell’eros lo dice una dichiarazione di sua moglie Katia – gemella di Klaus, del quale Mann era innamorato, certo nel rispetto delle forme – quando ricevette la notizia dell’inizio ufficiale della Seconda guerra mondiale. La moglie ritardò la comunicazione al marito perché egli stava scrivendo e lei non voleva che nemmeno la proclamazione della guerra – che avrebbe portato milioni di morti e tanti orrori – turbasse le «ore sacre» dello scrittore. Nemmeno il suicidio del figlio lo spinse ad andare al suo funerale. Omero ha pur raccontato i funerali di Ettore.
Il libro di Colm Tóibín permette di entrare con eleganza, avvolta di tali finissime intuizioni, ma sempre frenate, nel mondo del Mago. Che era – o si riteneva, con una punta di troppo – il mondo ed era soprattutto il mondo d’anteguerra, che apparteneva già alla morte.