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 2023  febbraio 22 Mercoledì calendario

Il nucleare pulito esiste?

È in atto un ritorno all’energia nucleare civile? In Italia l’ipotesi è presente nel programma della coalizione di centrodestra salita nel frattempo al governo: «Ricorso alla produzione energetica attraverso la creazione di impianti di ultima generazione senza veti e preconcetti, valutando anche il ricorso al nucleare pulito e sicuro». In altri Paesi, come il Giappone, la svolta è già in fase operativa. La Cina è il Paese che ci crede di più: sono stati attivati 40 nuovi reattori negli ultimi 20 anni. Ma cosa significa «produzione di energia da fissione nucleare di ultima generazione, pulita e sicura»?
Quarta generazione
Le centrali si definiscono pulite perché il processo di fissione non crea sostanzialmente emissioni di CO2, il nemico pubblico numero uno per il riscaldamento globale. Per questo anche l’Europa ha cambiato la tassonomia considerandole sostenibili. Sono anche sicure? Come sempre, fino a quando non accade un incidente. Cosa cambierà allora con le centrali di quarta generazione? Si tratta di una famiglia di tecnologie più avanzate studiate già da decenni che promette standard di sicurezza più elevati rispetto a quelli attuali e l’utilizzo di uranio così come viene isolato dagli altri minerali, senza il costoso processo di arricchimento richiesto dalle centrali attuali. Questo dovrebbe ridurre anche la quantità di scorie radioattive. Il problema è che nonostante la quarta generazione sia molto citata siamo ancora nella fase di studio e sperimentazione, tant’è che non ne esiste nessuna operativa nel mondo.
Quanto costa una centrale
Poniamo, comunque, che si voglia iniziare ora a costruire. Quanto costa? Difficile dare una stima univoca. Prendiamo la Francia, che è uno dei Paesi con il maggiore know-how tecnologico in materia di nucleare: i lavori per la centrale di Flamanville 3 Epr di Edf sono iniziati nel 2007 e sono ora in fase finale. La centrale sta costando una cifra monstre: 12,7 miliardi. Sarà uno degli impianti più moderni e potrà rifornire di energia una città come Parigi. A conti fatti, ancora oggi il nucleare è più costoso dell’energia da fonti fossili e l’ingresso nel mercato molto lento (come anche l’uscita).
I produttori della materia prima
Per costruire delle centrali nucleari a scopo civile servono tante materie prime rare, come il gas xenon (per inciso il primo fornitore al mondo è l’Ucraina). Ma non c’è dubbio che la materia prima imprescindibile sia l’uranio, anche se parliamo di centrali cosiddette di quarta generazione, dove si potrà usare un prodotto della concentrazione e lavorazione dei minerali contenuti nell’uranio «grezzo» (lo yellowcake, che si vende sul mercato, U3O8) al posto dell’uranio arricchito che usiamo ora (U235). Premesso che la transazione è possibile solo con i Paesi che hanno aderito al trattato di non proliferazione del nucleare, quali sono i Paesi che possiedono e vendono l’uranio? I maggiori produttori nel 2021 sono stati il Kazakistan (che con 21 mila tonnellate fornisce il 45% dell’uranio mondiale), seguito da Namibia (12%), Canada (10%) e Australia (8%). Tra i grandi produttori ci sono anche il Niger e la Russia (circa il 5% a testa).
Può davvero finire?
Già oggi i 450 reattori presenti in tutto il mondo e collegati alla rete consumano tutta l’estrazione annuale di uranio (48 mila tonnellate) per produrre circa il 10% del fabbisogno di energia del mondo. Ma cosa accadrebbe se la corsa al nucleare civile dovesse sul serio ripartire, considerando che anche sul fronte militare la produzione di armi nucleari è aumentata? Secondo la bibbia dell’argomento (il rapporto Uranium 2020 di Iaea) nel migliore dei casi da qui al 2040 la produzione potrebbe salire a un massimo di 626 GWe. Questo richiederebbe un maggior sfruttamento delle risorse totali di uranio sulla Terra, che non sono poi molte: i principali giacimenti sono in Australia che detiene il 28% dell’uranio nella classe sotto i 130 dollari per chilo, mentre il Kazakistan ne ha il 15%. Il che vuole dire che vale la pena estrarlo quando il prezzo sale. Cosa che non sta accadendo: negli ultimi 20 anni l’uranio ha avuto un picco a circa 350 dollari per chilo, ma oggi viaggia sotto i 100 dollari. In tutto il mondo esistono poco più di 6 milioni di tonnellate di uranio da estrarre. Visto che consumiamo già un milione di tonnellate ogni venti anni, già sappiamo che abbiamo risorse per 120 anni al massimo. Molti meno se dovessimo aumentare il numero di centrali.
Il caso Italia
In Italia, dove il referendum popolare del 1987 ha imposto la chiusura delle centrali, sarà difficile aprirne di nuove. Dobbiamo ancora smantellare quelle vecchie: Trino, Caorso, Latina e Garigliano. E pensare alla messa in sicurezza del materiale radioattivo presente negli impianti legati al ciclo del combustibile nucleare: Eurex di Saluggia, ITREC di Rotondella, Ipu e Opec a Casaccia e FN di Bosco Marengo. L’incarico era stato affidato alla Sogin nel 2001 con previsione di fine lavori nel 2019 e costi a 3,5 miliardi con un prelievo in bolletta a carico dei contribuenti. A fine 2021 la Sogin aveva completato solo il 30% del lavoro. Secondo il rapporto del 2021 della Commissione parlamentare sulle ecomafie l’uscita dal nucleare slitterà al 2035 (dovremmo fare in 12 anni il 70% del lavoro, dopo averne impiegati il triplo per farne il 30%) con un costo di 7,9 miliardi. È il caso di ricordare che l’impianto di Saluggia è considerato una bomba ecologica e già dal ’77 la prescrizione prevede la solidificazione dei rifiuti liquidi entro 5 anni. Sono ancora lì. Caso unico al mondo. Nel 2022 la società statale è finita in commissariamento e a coordinare i lavori di accelerazione è stato designato il dirigente che al momento del commissariamento era l’amministratore delegato di Sogin.
Inoltre: dopo tanti anni non è ancora operativo il deposito dove custodire i rifiuti radioattivi. Di fronte a questa incapacità di gestione è complicato far digerire una nuova eventuale stagione nucleare.