il Giornale, 22 febbraio 2023
Le battute a perdere di Ignazio La Russa
A l presidente del Senato Ignazio La Russa piace – come dicono a Roma – «parlare come magna». Cioè con qualche fuoruscita impropria. É una caratteristica umorale. Ma poiché il Presidente del Senato ha permesso che si anticipassero per agenzia alcuni contenuti di un’intervista andata in onda ieri sera, ci troviamo di fronte un florilegio di frasi leggiadre come un eczema. Il catalogo è generoso e va dalla dichiarazione secondo cui avere un figlio gay costituirebbe un dolore, al giudizio secondo cui le attuali donne del centrodestra in questa legislatura sono meno belle ma con più cervello di quelle precedenti. E poi che il vicepresidente della Camera Mulè a lui, presidente del Senato, non piace. Non per qualche motivo specifico: non gli piace e basta. E poi un largo veleggiare sul lessico del vaffa. Ciò che temiamo di più è che il Presidente del Senato abbia trovato se stesso irresistibile, anziché incredibile. Ed è inevitabile che il cittadino distratto, chieda: «Chi è che ha detto queste cose?». Inevitabile la mesta risposta: le ha dette la seconda carica dello Stato che viene subito dopo Mattarella. Inoltre, nell’intervista sembra rievocare la vicenda delle ipotetiche scritture più o meno segrete del giorno in cui fu eletto il presidente del Senato, riportando in auge il vaffa, un capo che ormai si porta su tutto. A questo punto il lettore si chiederà: e che cosa diciamo al Presidente del Senato? Che abbiamo riso di buon gusto? No, non abbiamo riso affatto. Chi scrive, oltre ad essere stato undici anni in Parlamento ricoprendo anche una carica istituzionale come Presidente di una commissione bicamerale d’inchiesta, ha fatto – ho fatto – per quarant’anni il cronista e posso dire di averne viste di tutti colori. Mi capitò anche di diventare per caso l’intervistatore prediletto di un presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, che tutti davano per matto e che matto non era affatto benché eccedesse in esuberanze. Anzi, ricordo che quando rifiutai di pubblicare una sua intervista in cui lui dava all’onorevole Achille Occhetto dello «zombie coi baffi» trovando l’espressione non all’altezza di un capo dello Stato, Cossiga se ne infischiò e pubblicò la sua intervista su un altro giornale. Ma ogni volta che quel presidente «si toglieva un sasso dalla scarpa», tutto il perbenismo istituzionale dei palazzi e dei politici fingeva di fremere di sdegno. Toccò ad un pugno di valorosi giornalisti impedire che quel presidente fosse dichiarato matto con certificato medico e rimosso: ma le sue battute eccessive che lui stesso battezzò come «picconate» riguardavano questioni serie che il senatore La Russa ricorda, che anticipavano il cataclisma in arrivo sull’Italia a causa del crollo dell’impero sovietico. Non ricordiamo alcun altro politico che abbia incarnato le istituzioni usando pubblicamente un linguaggio sguaiato, neanche per spacciarlo come ardita provocazione.