la Repubblica, 21 febbraio 2023
Metti in un libro due registi, un’attrice, uno scrittore e un’ombra
Due registi, un’attrice, uno scrittore e un’ombra. Sono i protagonisti dell’ultimo libro di Francesco Piccolo, La bella confusione (il titolo era quello provvisorio di 8 ½, suggerito da Flaiano: Fellini lo scartò ma più avanti individuò nella “vitale confusione della vita” la chiave della sua opera). L’attrice è Claudia Cardinale. Bellissima, campeggia sulla copertina: le dita della mano fra i lunghi capelli neri, il volto perfetto inclinato a sfiorare la spalla nuda, gli occhi magnetici rivolti altrove. È proprio l’attrice, nel 2014, durante una conversazione svagata prima del festival di Sanremo, a raccontare a Piccolo (è lui lo scrittore) di quando, nell’estate del 1962, girava contemporaneamente su due set: in Sicilia, perIl Gattopardo, a Roma, per 8 ½. Un’impresa, e un calvario, poiché Visconti e Fellini, con notevole sadismo, la sottoposero a trasformazioni estenuanti: ciascuno voleva la “sua” Claudia. Ed entrambi i film non sono oggi immaginabili senza di lei. Ma i due registi si erano votati un’aspra inimicizia già dal tempo diSenso eLa strada (anch’essi contemporanei) e la loro rivalità – estetica, politica e morale – appare oggi classica come quella di Ettore e Achille, Bernini e Borromini. È la scintilla che alimenta in Piccolo un’ossessione decennale per quella storia. Pensa di farne un documentario, una serie tv, infine questo libro. Poiché, anche se lo scoprirà solo molto tempo dopo, i due film – indiscussi capolavori del cinema italiano, di cui segnarono insieme l’apice irripetibile e l’inizio del declino – sono anche intimamente legati alla sua vita: che infatti si insinua nelle pagine, all’inizio timidamente, in funzione di premessa, poi con spavalderia, in funzione metaletteraria.
L’«avventurosa storia del cinema italiano» – per parafrasare il titolo dell’imprescindibile libro di Franca Faldini e Goffredo Fofi – è rimasta finora stranamente ai margini della nostra letteratura: l’omissione meriterebbe un saggio a parte. Perché la storia di un film (il “making of”) è insieme la storia corale degli individui che lo concepiscono e vi lavorano, e dei condizionamenti sociali, culturali e politici che lo producono: la materia del romanzo, insomma. I lettori più giovani resteranno sbalorditi e offesi dall’invasiva immanenza della politica: negli anni ’50-’60 l’intellighenzia di sinistra può osteggiare un genio come Fellini poiché un suo film è piaciuto alle alte gerarchie cattoliche, il Pci può far stroncare un romanzo (Il Gattopardo ) perché troppo conservatore, salvo poi riabilitarlo, e dunque permettere a Visconti di dirigerne la trasposizione cinematografica, quando il partito comunista francese, tramite Aragon, lo esalta. La realizzazione di un film è un cammino accidentato, costellato di intrighi, tradimenti (crudele quello ai danni del regista Ettore Giannini, benché sotto contratto, espropriato brutalmente del Gattopardo ), cialtronerie, abbagli (come l’avversione iniziale di Visconti per il “cow-boy” Lancaster, imposto dalla produzione, divenuto invece l’unico possibile principe di Salina nonché incarnazione, quasi un doppio sciamanico, del regista stesso). Ma anche illuminazioni, atti di coraggio e d’amore (adorabile il ritratto di Sandra Milo), colpi di genio e di fortuna.
Piccolo esibisce le sue fonti – trascrive e interpreta le testimonianze dei protagonisti e dei loro discendenti; intreccia memorie scritte e orali, recensioni di riviste ormai dimenticate, consapevole che verità documentaria e accrescimento epico sono intrinseci alla materia stessa della narrazione. In capitoli brevi, con prosa fresca, vivace e colloquiale, alterna i due set – fra ampi flash-back e divagazioni – e conduce il lettore fino al trionfo di entrambi i film e alla crepuscolare riconciliazione dei rivali. Ma via via che il racconto procede mette a fuoco le ragionidella scelta del soggetto, che toccano l’essenza della sua scrittura. Piccolo è infatti uno dei rari casi di scrittore (di racconti, romanzi e memoir) e sceneggiatore (di film e serie televisive): le due carriere – entrambe assai fortunate (dal premio Strega 2014 ai David di Donatello e ai Nastri d’argento) – si sono sviluppate su binari paralleli (con un unico incrocio, sul suo Momenti di trascurabile felicità ).
Ma ormai può voltarsi indietro e comprendere la natura della sua dicotomia. Come sceneggiatore, opera col “metodo” di Visconti nel Gattopardo – un lavoro di decostruzione, montaggio e appropriazione del testo altrui (Piccolo ha sceneggiato fra l’altro romanzi di Veronesi, Amidon, Starnone, Ferrante): ma come scrittore che si è votato all’autofiction, mettendosi in gioco nei libri come personaggio, è nel Fellini di 8 ½che riconosce il suo modello. Fellini è stato infatti il primo regista a osare un film su se stesso, la propria crisi creativa, la vita privata, gli incubi, le ossessioni, i sogni. E attraverso l’omaggio al Maestro Piccolo rivendica la nobiltà di un genere (l’autofiction appunto) dapprima eversivo e controverso e ora addomesticato e dominante nella letteratura globale.
Ma l’ombra? chiederete. È quella, scura e risentita, di Ennio Flaiano. Scrittore di successo (suo, con Tempo di uccidere,il primo Premio Strega nel 1947) e sceneggiatore (più candidato che premiato) di film capitali della cinematografia, nel 2023 il pescarese è ilrevenant della narrativa italiana. In queste pagine è padre, amante, sodale di Fellini fino alla rottura, poi amareggiato marziano in esilio. Piccolo sceglie Carrère come guida, ma credo non abbia finito di fare i conti col suo unico vero predecessore.