la Repubblica, 21 febbraio 2023
La settimana corta degli inglesi
Un dipendente su 7 non tornerebbe indietro «per tutto l’oro del mondo». Più sorprendente però è che la settimana lavorativa di 4 giorni piaccia anche ai dirigenti d’azienda. I risultati del più grande esperimento sul tema, pubblicati oggi nei Reports and Proceedings dell’università di Cambridge, sono tanto eclatanti da essere approdati sul tavolo dei legislatori inglesi. Con 2.900 lavoratori e 61 aziende coinvolte in Gran Bretagna da giugno a dicembre 2022, lo studio offre materiale per riflettere. A metterlo a punto, oltre a Cambridge, è stato il Boston College, con il think tank specializzato in mondo del lavoro Autonomy e l’associazione non-profit 4 Day Week Global.
Il punto di partenza è la formula 100-80-100: 100% della paga, 80% del tempo lavorato, 100% dei compiti svolti dai dipendenti, nonostante la riduzione da 40 a 32 delle ore lavorate in una settimana. I ricavi delle aziende coinvolte nel test non hanno sofferto, anzi sono saliti leggermente (+1,4%). Dopo i sei mesi di prova, 56 delle 61 aziende – sia piccole che medie e grandi, che spaziano dall’intrattenimento alla salute, dalla manifattura ai servizi – oggi sono intenzionate a proseguire. Fra queste, 18 hanno già reso permanente la settimana di 4 giorni.
Il 15% dei dipendenti, intervistato alla fine dei sei mesi, ha dichiarato che «nessuna somma di denaro li potrebbe convincere a tornare alla settimana di 5 giorni». Nel dare un voto alla propria vita, il punteggio medio è salito da 6,69 a 7,56. I dirigenti hanno assegnato un bel 8,3 all’esperienza nel complesso (anche se il voto è sceso a 7,5 nel valutare produttività dei dipendenti e performance dell’azienda). Stress, insonnia e giorni di malattia sono ugualmente calati, insieme alla spesa per le baby sitter, mentre è cresciuta la felicità familiare. «Con un giorno alla settimana dedicato alle commissioni, finalmente posso godermi i weekend» ha risposto un dipendente al questionario finale. L’unico macigno che la settimana corta non è riuscita a smuovere è la parità dei generi nelle faccende domestiche: la percentuale di uomini che vi si è dedicata non è salita. Dopo l’esperimento islandese – il terzo giorno di riposo è stato introdotto nel settore pubblico nel 2015, e da allora è andato diffondendosi sempre più – il mondo del lavoro sembra quindi pronto a introdurre una maggior dose di tempo libero. «La pandemia ci ha abituato a uno stile di vita flessibile», spiega il rapporto. In Spagna, Belgio, Australia e Stati Uniti le 32 ore iniziano a diffondersi. Ma anche se l’esperimento inglese trasuda entusiasmo, nasconde tra le righe alcuni dettagli critici. Il test è avvenuto in un periodo di bassa disoccupazione e tendenza dei lavoratori insoddisfatti a licenziarsi, soprattutto nel mondo anglosassone. E la diminuzione delle ore è stata compensata da un “maggior ritmo di lavoro”: variabile non gestibile in tutti i settori.
Prima di intraprendere l’esperimento dei 4 giorni, le aziende si sono date un codice di condotta per mantenere alta la produttività. Al primo posto, come è intuibile, c’è il taglio delle riunioni: più brevi, meno frequenti e con obiettivi precisi. Poi l’introduzione di ore di lavoro battezzate “a testa bassa”, in cui i dipendenti non possono essere interrotti. A volte, ha spiegato un lavoratore nel questionario, «quando sai che devi restare comunque fino alle 10 di sera, fai giusto il necessario». I software delle aziende sono stati unificati e snelliti, ai lavoratori è stato chiesto di mandare meno mail, più brevi e, ove necessario, di svolgere anche le mansioni degli altri colleghi. Qualcuno si è lamentato di aver meno tempo per socializzare sul posto di lavoro, con ripercussioni su idee e creatività, ma come un dirigente ha risposto a fine esperimento, il modo di lavorare è diventato «più concreto e adulto». E forse anche questo fa parte della soddisfazione.