Corriere della Sera, 21 febbraio 2023
Intervista a Tiberio Timperi
«Sono cresciuto con il libro Cuore di De Amicis, con valori un po’ polverosi, odorosi di arsenico e vecchi merletti. Se a questo si aggiunge che amo la giustizia, sono onesto fino all’autolesionismo e anche testardo, ecco che si crea una miscela esplosiva». Quella miscela, in Tiberio Timperi prevede anche un certo cinismo stemperato da una buona dose di ironia e una sensibilità che, però, trasmette anche altro. Un po’ di delusione, ad esempio.
È così?
«Sono molto deluso dal genere umano, sì. Sin da piccolo mi chiamavano Tiberio il vecchio, ma io non sono mai riuscito a fregarmene delle cose sbagliate che vedo, non ce la faccio a buttare tutto alle spalle e far finta di niente».
«Tiberio il vecchio» si nasce o si diventa?
«Tanto dipende dall’educazione che ho ricevuto dai miei genitori: erano molto onesti, dialettici, mi hanno trasmesso certi valori. Sono stato un figlio unico e oggi dico che non mi dispiacerebbe essere chiamato da un notaio e sapere che in realtà non sono solo. Avrei voluto avere dei fratelli, qualcuno a cui chiedere: ti ricordi se ho avuto il morbillo?».
Non avere fratelli l’ha caratterizzata tanto?
«Sono abituato a cavarmela da solo, ma del resto nasciamo soli e moriamo soli. C’è una sorta di ottimismo nero nella consapevolezza che la vita non è giusta e il tempo non è galantuomo».
L’ottimismo un po’ sfugge.
«Allora definiamolo un velo di affettuosa malinconia».
Sente di non essere stato del tutto capito professionalmente?
«Credo di avere un potenziale che non è stato esplorato nella sua totalità. Ma, appunto, capita. Diciamo che ultimamente c’è sempre meno voglia di rischiare ma piuttosto si va sull’usato sicuro. Io so tutto quello che ho fatto».
La sua carriera televisiva prosegue da oltre trent’anni.
«Il merito mi ha portato fino a un certo punto ma poi lì mi sono fermato. La mia incapacità di andare a cena o fare pubbliche relazioni ha pesato. Se mi dicono di fare qualcosa per forza io soffro. Ahimé, amo la montagna».
Come ricorda i suoi inizi?
«Dopo la radio, la mia prima passione, sono approdato a Telemontecarlo mentre in Rai sono arrivato con un provino, cosa impensabile nell’era delle pubbliche relazioni sulle terrazze romane. Tra le cose di cui vado fiero, l’aver lanciato la serata delle cover in Sanremo top: sfido chiunque a dimostrare che non andò così. Poi altri hanno usato l’idea».
La bellezza, per lei, ha avuto un peso?
«Certo. Una volta si privilegiavano persone che oltre ad avere qualcosa da dire proponessero anche un certo garbo e la famosa bella presenza. Io però non mi sono mai sentito bello: fino a una certa età ero piuttosto cicciottello e brufoloso, mi piaceva fare casino in compagnia ma non conquistavo le ragazze facilmente».
Eppure tra i suoi amori c’è anche il sogno di molti, Natasha Hovey.
«Avevo letto una sua intervista in cui diceva che cercava il principe azzurro e faceva un elenco delle sue caratteristiche: mi ci ritrovavo. Dovevo andare al Costanzo Show in una puntata in cui c’era anche lei, ma Fede (era l’epoca del Tg4) non mi diede il via libera. Feci in modo allora di avere il suo numero... che dire, è stato un bel periodo, ho un ricordo bellissimo, di una ragazza dalla dolcezza unica. Ogni volta che rivedo Acqua e sapone penso a noi a Campo de’ Fiori».
Vede che è un romantico?
«Un romantico che strada facendo si è incastrato in una serie di sovrastrutture. Ho dovuto remare e infine sono entrato anche in tempesta: qualche albero è crollato ma sono un sopravvissuto. E quando le cose vanno male, capisci anche quanto vali. Ma mi restano dei graffi nel cuore, non solo sulla pelle».
Il riferimento è al suo doloroso divorzio?
«Da un certo momento in poi la mia vita ha preso un’altra direzione: è stato molto, molto pesante, ma va bene così. Ho altre fortune, come non lavorare: di fatto assecondo solo la mia passione. I miei amici di recente mi hanno detto: Tiberio, tu rispetto a noi hai realizzato i tuoi sogni. È una gran cosa avere chi te lo ricorda. Ho passato 15, 18 anni che avrebbero ucciso chiunque, ma ora ne sono uscito: bruciacchiato, tumefatto, ma ci sono ancora».
Professionalmente chi ha creduto in lei?
«Michele Guardì, Ballandi e Jocelyn, un genio della tv che dovrebbe avere ancora un posto, visto che nel nostro mestiere non si invecchia, ma si acquisisce esperienza. Ho avuto la fortuna di conoscere grandi come Corrado, Rispoli, Raffaella Carrà, con me sempre prodiga di consigli».
Ce ne dica uno.
«Mi disse che in tv non contava quanto parlassi: bastava una battuta, ma detta bene e al momento giusto per fare la differenza».
Ha lavorato anche con Mike Bongiorno.
«Una persona deliziosa, preciso sul lavoro ma anche un signore: quando finimmo di lavorare mi mandò una lettera per dirmi che si era trovato bene con me e mi augurava tanta fortuna. Fu una grande gioia riceverla, sulla sua carta intestata... chi farebbe più oggi una cosa così».
Il suo primo amore, però, è stata la radio.
«In radio gli occhi verdi non servono ma la parlantina sì. Resto convinto che anche in tv chi ha fatto radio abbia una marcia in più. Mi manca moltissimo ma se non me la fanno fare non è colpa mia: non c’è trippa per gatti».
E come mai?
«O non sono simpatico o non appartengo a un certo giro. Ma non credo di aver disimparato. Anzi, nel corso degli anni si ha sempre qualcosa in più da dire, lo dimostra bene Linus che è la Rolls-Royce dei radiofonici».
Non la ritengono simpatico, quindi?
«Sono simpatico ma ho i miei tempi per aprirmi e ormai vanno tutti di fretta... Inoltre porto sempre in dote la mia sincerità e le mie competenza ma a volte servono altre qualità. Ho il difetto di non essere ipocrita, non lubrifico i contatti umani in base alla professione».
Ha pochi amici?
«Quelli di sempre, che per definizione sono pochi. Un ex compagno di banco del liceo, due amiche di infanzia, un mio ex direttore di Telemontecarlo. Direi basta».
Come andava a scuola?
«Una volta i genitori non avevano aspettative sui figli se non che arrivassero ad avere in mano il famoso pezzo di carta della laurea. Io non ho dato loro questa gioia perché a 14 anni ho iniziato a lavorare nelle radio private. A scuola la mia epifania l’ho avuta durante le recite: ero molto bravo e mi dicevano “dovresti fare l’attore”».
Invece è diventato un giornalista.
«Si ma per caso. Aver sempre prodotto contenuti per la radio mi ha aiutato a diventarlo: mi sono laureato sul campo. Comunque mi sono anche divertito come attore, doppiatore, conduttore. Dove ho potuto, mi sono espresso».
E ora?
«Il meglio potrebbe ancora venire? Arrendersi mai, crederci sempre. Certo devi trovare qualcuno che punti su di te. Io continuo ad aspettare, sperando di non essere patetico. Mi piacerebbe veder realizzata una mia idea, anziché assistere al proliferare di format stranieri. Sarebbe bello se a viale Mazzini, anche in uno scantinato, ci fosse una stanza dove tutti noi conduttori potessimo confrontarci. Tra tante cavolate magari uscirebbe anche qualcosa di buono».
Ecco l’ottimismo.
«Ci sono cose in cui credo anche se vedo una società totalmente rintronata dai social. Una volta si usciva,oggi i ragazzi se ne stanno a casa, non lottano neanche più per avere il motorino perché tanto stanno chiusi in camera. L’immaginazione è stata uccisa: tutto è a disposizione, basta un clic. Ma niente sedimenta».
Lei però è sui social.
«Sì ma non amo lo smartphone, voglio il contatto umano. Sono rimasto quello che faceva casino nel gruppo. Solo che a 58 anni sei più disincantato: hai incassato le delusioni, le scorrettezze e capito che la vita non è giusta. Mio padre lo diceva sempre, peccato averlo capito solo dopo. I padri si capiscono sempre dopo».
È stato davvero così per lei? Sente di aver capito solo dopo suo padre?
«Nel tempo ho realizzato che aveva ragione su tutto. Lui era di quella generazione che non ti erigeva monumenti per le cose buone che facevi. Insomma, non mi ha mai dato grandi soddisfazioni a parole ma dopo la sua morte ho trovato una collezione di suoi ritagli con tutti i giornali che parlavano di me. Non me lo aspettavo».
Cosa direbbe oggi a quel ragazzino con grandi valori che faceva divertire i suoi compagni?
«Gli direi: dovrai attraversare mareggiate e tempeste, ma tranquillo, comunque ne uscirai fuori, le cose andranno di nuovo bene. Ci penso ogni sera a quello che è stato, quando vivo le giornate serene di oggi».
Le piacerebbe innamorarsi di nuovo?
«Dovrebbero rifare Agenzia matrimoniale per quelli che si separano a 50 anni. Lo penso seriamente, perché se succede, a quel punto che fai? Se vai in discoteca potrebbero essere tutti tuoi figli: cosa racconto a una di 25 anni? Sarei ridicolo. Inoltre, nel mio caso, c’è il rischio di essere avvicinato per quello che rappresento: molte sono interessate alla scatola, diventi sospettoso. Spero sempre che la vita mi sorprenda quando meno me lo aspetto ma, in generale, tutti si cercano, pochi si trovano e molti si accontentano: io non ho intenzione di accontentarmi».
Di nuovo il pessimismo?
«Il contrario: vivo solo da una vita proprio perché credo che ci sia un’anima gemella. Scendere a compromessi non fa parte del mio vocabolario: non nel lavoro e nemmeno nella vita privata. Da solo sto bene: se mi devo mettere con una persona devo stare meglio».