Corriere della Sera, 21 febbraio 2023
Intervista a Ilaria Capua. Torna in Italia
Bologna,via Beniamino Andreatta, 21 febbraio 2023, ore 18. È il giorno dell’annuncio, la data da ricordare come un nuovo inizio nella sua vita di scienziata. Possiamo dire «bentornata in Italia prof»?
«Possiamo! Torno in Italia e soprattutto torno in Europa, l’ufficializziamo nel corso di un incontro alla Johns Hopkins Sais Europe University, l’università americana che ha una sede a Bologna dal lontano 1955 e con la quale avvio una collaborazione sui temi ai quali mi dedico da anni, la salute globale. Detto in inglese, l’incarico è di Senior fellow of Global Health».
Sono passati quasi sette anni dall’arrivo in Florida dove ha diretto dal 2016 il Centro di eccellenza One Health. Sette anni dall’ addio al Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Istituto Zooprofilattico di Padova che dirigeva, e alla Camera dei deputati dove era stata eletta con Mario Monti. Sette anni per lo più lontana dall’Italia che fino a quel momento non aveva voluto lasciare.
«La vita professionale procede per fasi e cicli. Dirigere il Centro One Health in Florida è stata un’esperienza importante e intensa che oggi rappresenta la base per spingere in avanti nuove idee. Ora, vedo per me nuove sfide professionali al di qua dell’Oceano».
Come è maturata la decisione?
«La prima voce a levarsi è stata quella di nostra figlia Mia che studia in Europa e ha un legame forte con la Scozia dove è nato il suo papà, mio marito Richard, scozzese doc, ahimè oggi extracomunitario. Diciamo che le parole di Mia hanno dato la scossa e reso evidente ciò a cui mi stavo già preparando: il tempo di tornare era arrivato».
C’è più Italia o più Europa in questa scelta?
«L’Europa ha bisogno di raccogliere energie positive, ha bisogno dei suoi cittadini e io credo abbia bisogno dei suoi ricercatori. Non scordiamoci che l’Europa è rimasta senza la Gran Bretagna: una grandissima perdita anche dal punto di vista scientifico. Avevamo costruito negli anni reti di ricerca in cui gli inglesi erano partner rilevanti, un gran lavoro andato in fumo. L’Italia, da parte sua, è in un momento nodale con grandi risorse a disposizione che vengono dal Pnrr. Un’opportunità di crescita scientifica e tecnologica per il Paese che non si ripeterà più. L’Italia oggi è un avamposto in Europa. E poi è il mio Paese».
Ha fatto dunque pace con l’Italia? Il film del 2021 «Trafficante di virus» tratto dal suo libro racconta dell’errore giudiziario che ha travolto l’esistenza sua, della sua famiglia, degli amici e dei colleghi. Quasi dieci anni dopo come vede quella tragica esperienza che l’ha spinta ad emigrare in Florida?
«Una delle grandi sfide della vita è quella di riuscire a trasformare gli eventi peggiori in opportunità».
Quali sono le priorità scientifiche per il Paese e per l’Europa di cui lei si farà portavoce?
«Dobbiamo lavorare insieme su nuovi approcci alla salute. Il nuovo paradigma da scoprire è quello della Salute Circolare. Servono competenze diverse e una nuova metodologia di pensiero. E l’idea è proprio questa: ho studiato la questione negli anni americani, lì abbiamo costruito sulla visione One Health per rendere questo approccio più inclusivo e contemporaneo alle sfide del 21° secolo. Abbiamo incluso nei nostri studi e progetti esperti in moltissime discipline, comprese quelle economiche e umanistiche. Con la pandemia da Covid-19 si è purtroppo toccato con mano quanto la salute umana sia interconnessa ad altri sistemi del pianeta, alla salute animale e quella ambientale. Acqua, aria, terra e fuoco: per contrastare la crisi climatica e garantire la sicurezza alimentare e tenere la salute al centro dobbiamo accelerare l’analisi dei dati, porre obiettivi lungimiranti, cercare le strade innovative».
In tema di grandi innovazioni, addirittura il New York Times le riconosce il merito dello «strappo» che ha permesso la condivisione «open access» delle sequenze genetiche dei virus, informazioni che allora erano per pochi. Senza questa visione, e coraggio, non avremmo avuto l’infrastruttura per accogliere le 15 milioni di sequenze di Covid che hanno portato ai vaccini in tempi tanto rapidi. Oggi a cosa dobbiamo puntare?
«Raccogliamo una quantità incredibile di dati, anzi siamo diventati noi stessi produttori di dati attraverso l’uso degli smartphone e di altri dispositivi come ben sappiamo. Ma questa enorme raccolta lascia spesso il tempo che trova perché questi dati non sono interoperabili. Cioè non sono generati per “parlarsi”, per semplificare come puoi fare una sintesi scientifica se i dati sono raccolti in parte in metri e in parte in piedi o iarde? Mentre è lì che ci sono le chiavi per affrontare il futuro. Usare queste informazioni generate a livello di individuo, comunità o paese per rendere un po’ più prevedibili la salute e la malattia guardando l’insieme così anticipando le dinamiche negative».
Cosa occorre per far fruttare i dati?
«Servono sistemi di calcolo potenti e l’approccio integrato delle discipline e delle competenze. C’è ancora tanto da scoprire...»
Quanto è alta l’aspettativa di nuove scoperte?
«La ricerca può volare alto! Dagli studi sulle banche dati possono emergere mondi inesplorati. Così come è stato con il microscopio che ci ha aperto gli occhi sull’invisibile: c’era un intero universo che non si poteva vedere e in esso la risposta a tante delle nostre domande».
C’è una speranza per l’Italia di veder tornare altri «cervelli» oltre al suo? «Mi piacerebbe essere d’ispirazione per altri e mi muove il desiderio di restituire qualcosa di quello che ho imparato L’Italia della ricerca deve poter richiamare talenti per rilanciarsi in una dinamica internazionale».
Ci tolga una curiosità: suo marito Richard, Rich per tutti quelli che hanno seguito la vostra storia e che è sempre rimasto a suo fianco nonostante le difficoltà, verrà a vivere a Bologna?
«Ahinoi, è più complicato del previsto (ride)...Siamo caduti vittime della Brexit! Non è così semplice per un “extracomunitario” e suddito di Sua Maestà ottenere la cittadinanza italiana. Richard ha sostenuto e passato l’esame dopodiché bisogna attendere anni…ma questo è un altro degli intoppi inimmaginabili delle famiglie cittadine del mondo…».