il Giornale, 21 febbraio 2023
Basta con la scuola buonista
Università del Piemonte orientale. Una specializzanda della Scuola di Pediatria ottiene quasi il massimo (68/70; il minimo è 42/70), ma il voto è sgradito ai parenti lì presenti. Due di loro, il padre e il suocero della studentessa, inveiscono contro le sette commissarie e, in particolare, contro la presidente di seduta, Ivana Rabbone, associata presso l’ateneo (già abilitata a ordinaria) e coordinatrice della Commissione dei direttori del complesso delle scuole di specializzazione dell’ateneo piemontese. I due, oltre a lei, sono arrivati a minacciare i suoi familiari e lei ha sporto querela, su sollecitazione del suo Rettore, denunciando il fatto alla caserma dei carabinieri di Novara. Ieri l’ho sentita per telefono, e mi ha raccontato la sua storia nei minimi dettagli. «La studentessa era già uscita, e così tutti gli altri. Erano rimasti in aula solo i due, che ci hanno assalite, cogliendoci anche un po’ impreparate, con insulti e minacce gravissime. Il padre della specializzanda, cui non è bastato avermi dato della carogna, ci ha tenuto a farmi sapere di essere a conoscenza del fatto che ho un figlio che gioca a calcio, e studia come sua figlia. Una vera e propria intimidazione, che ho vissuto sulla mia pelle come docente e come madre, ma anche come donna». Perché Ivana mi confessa di essersi sentita per giunta vittima dell’ennesimo episodio di discriminazione di genere (proprio lei, peraltro, che aveva proposto di alzare il voto della candidata rispetto alle formulazioni delle sei colleghe commissarie) e ora si aspetta di essere controquerelata dalla famiglia. Teme anche che quest’episodio possa incidere sulla sua carriera. Intanto le è giunta almeno la solidarietà delle rappresentanze studentesche, che sulla vicenda hanno diramato un documento. «Padre e suocero», continua Rabbone, «ci hanno aggredite coi Lei non sa chi sono io e Questa cosa non finisce qui, vantando conoscenze in ambito politico e regionale e dicendosi dirigenti di aziende sanitarie pubbliche. Si erano bene informati su di me, sulla mia vita privata. Mi hanno spiata, controllata. Hanno senz’altro agito con premeditazione. Hanno filmato tutto, ed erano perciò prevenuti. La studentessa aveva peraltro accumulato un debito formativo che ci aveva indotto a ritardare di due mesi la seduta per il conseguimento del titolo, un ritardo ingiustificato, per i suoi familiari, e dunque motivo di acredine (sebbene la specializzanda stessa fosse d’accordo sul posticipo)». «E tutto questo», conclude la docente minacciata e insultata «per un voto che non è neanche richiesto per una scuola di specializzazione, costituendo titolo soprattutto il contesto lavorativo nell’arco dei cinque anni di durata di un corso per il quale, va detto, gli iscritti percepiscono 1.800 euro mensili. Un motivo in più per essere quanto più obiettivi e rigorosi nel giudizio, anche per rispetto nei confronti di tanti studenti che non godono della stessa condizione privilegiata». Il Rettore dell’ateneo piemontese, Gian Carlo Avanzi, ha rilasciato un duro comunicato sull’accaduto: «Un comportamento come quello che si è verificato da parte della famiglia della neo-specializzata, oltre a essere spropositato e penalmente rilevante, reca i segni dell’ingratitudine e della profanazione del luogo deputato alla creazione e alla diffusione della conoscenza. Qualunque attacco alla capacità e alla libertà di giudizio dei docenti, che sono un valore inviolabile di ogni Ateneo, va respinto con la massima energia. Ci riserviamo come istituzione, dunque, la possibilità di adire a vie legali nei confronti di questi soggetti che hanno minacciato così gravemente l’Università intera attraverso gli attacchi a una docente stimata e apprezzata come la professoressa Rabbone». Non si riservi la possibilità di ricorrere alle vie legali, il Rettore Avanzi, le imbocchi senza esitazione. È ora di dire basta con la violenza nelle università e nelle scuole italiane ai danni di tanti docenti colpevoli solo di fare il loro lavoro. Ivana Rabbone mi ha confessato di sentirsi traumatizzata. Lo stesso è accaduto a Maria Cristina Finatti, l’insegnante sessantunenne di Scienze e Biologia di un istituto d’istruzione superiore di Rovigo che, nel gennaio scorso, ha denunciato i 24 studenti di una sua prima classe per lesioni personali, atti persecutori, oltraggio a pubblico ufficiale e diffamazione via social. L’11 ottobre 2022 quattro di quegli studenti avevano organizzato un piano ai suoi danni, una vera e propria imboscata con la complicità del resto dei compagni, prendendola a pallini (di gomma). A Maria Cristina si era sparato una prima volta all’inizio della lezione, e si era diffusa subito dopo in rete, dopo essere stata ripresa coi cellulari, la scena della bravata. Il primo colpo era andato a vuoto, ma la seconda volta l’insegnante era stata colpita alla testa ed era uscita piangendo dall’aula. A distanza di tre mesi Maria Cristina ha reagito, accusando i genitori dei quattro perché conniventi e denunciando l’intera classe al Tribunale dei Minori di Venezia. Ben fatto. Un insegnante è un pubblico ufficiale lo dice il legislatore (legge n. 94/2009; sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008, Zinoni, Rv. 239839), e lo confermano alcune recenti sentenze (come questa: Cassazione V Penale n. 15367 del 2014) e da pubblico ufficiale deve comportarsi. È ora di dire basta al buonismo e al perdonismo educativo generalizzato di una scuola e un’università, che, con la connivenza di molti genitori, divenuti amici, complici o difensori a oltranza dei loro figli, stanno sempre più drammaticamente rinunciando al loro ruolo educativo. Se sei empatico non ti sparano con una pistola ad aria compressa, ha sproloquiato un’inqualificabile Luciana Littizzetto. Un altro modo per dire che, se vuoi riuscire nel tuo compito di educatore, devi rinunciare proprio al tuo dovere primario. Quello di educare, per l’appunto, facendo dei tuoi studenti (e, quando serve, dei loro familiari) cittadini coscienti e responsabili.