La Stampa, 20 febbraio 2023
Metti in una classe dei ragazzi del mondo a parlare di cosa possono e non possono fare
Gli studenti del corso di italiano serale mi osservano mentre scrivo alla lavagna la parola Italia e poi «io posso», «io non posso». Rimango in silenzio.
«In Italia posso andare in palestra alle cinque del mattino», comincia Viktor il polacco. Fin dalla prima lezione Viktor è una meraviglia agli occhi degli studenti asiatici. Due metri di body-builder biondo, quando si alza in piedi incute spavento. «E cosa mangi la mattina?» chiede Shaila l’indiana che pesa un decimo. «Banane», risponde il muscoloso. Risate dal lontano Oriente.
«Io non posso andare in palestra alle cinque perché alle sei prego», osserva Khalid. «Io posso dormire fino alle nove perché non prego», dice Princess.
«Posso andare alla sagra delle castagne», ammette il brasiliano José, a suo agio in Veneto come mai nessuno.
«Io posso lavorare», rivela improvvisamente Kazi. È un richiedente asilo, doveva osservare un periodo nel quale non poteva trovare un impiego. «Davvero? È una notizia meravigliosa. E dove?», «A Venezia. Bellissima. Lavoro in un ristorante perché parlo inglese». «Puoi continuare il corso di italiano?», «Posso continuare perché il mio capo dice che imparare l’italiano è importante».
Nel curriculum Kazi conta una laurea in Malesia, la prigionìa in Libia, una madre cieca in Bangladesh che è la sua unica famiglia. Nel profilo Whatsapp ha la foto dell’ala di un aereo nel cielo blu. «Io, in Afghanistan, non posso lavorare», continuo. «In Afghanistan io non posso bere alcol», dice il ragazzo afghano. «Io posso bere lo spritz. Anche il prosecco», sorride sempre José. «In Italia posso bere, ma non bevo», gli risponde l’afghano. «In Italia posso andare a scuola», aggiunge sua cugina Zaira.
Gli occidentali rimangono zitti. Possono fare tutto questo, d’altronde. Il ragazzo afghano mi chiede di enumerare le azioni che un italiano non può fare, facciamo prima. «Vediamo», rispondo: «Io non posso bere alcolici al bar se non ho almeno 18 anni, non posso stare a casa da scuola se per esempio ho 14 anni…».
«L’Italia non può fare la guerra», mi interrompe. «In un certo senso». «In Italia posso avere le ferie pagate con un contratto di lavoro», osserva Cindy che è tornata a frequentare. «Posso avere la pensione». «Sì, ma a 67 anni», intervengo. «A 67 anni sono morto», esclama Kazi. «Anch’io, morta». Sono sconvolti. Vuoi vedere, pensano, che questa è la contropartita.
«In Bangladesh gli uomini possono sposare quattro donne» cambia argomento Sumaya che farà la casalinga a vita. «Quattro? E vivono tutte nella stessa casa?» chiede strabiliato Viktor. «Certo che no». «Una il lunedì, una il martedì, una il mercoledì…». «In Nigeria un uomo può avere tante donne nella stessa casa. La prima prende una camera, la seconda un’altra camera. Un casino». Princess cerca velocemente un video su TikTok dove un signore africano balla in casa con tre ragazze scatenate. «Le mogli in Africa ballano insieme in salotto?», ride Sumaya. «Litigano tutto il tempo», ride Princess.
«Io», continuo, «posso dare il mio cognome a mio figlio». L’argentino si scandalizza: «Ma il padre allora a cosa serve?». E tutti silenziosamente gli danno ragione, tranne il polacco che mi osserva sempre con la usuale espressione: ci sono, comprendo tutto. «In Italia due uomini oppure due donne possono sposarsi», rincaro. Gli orientali ammutoliscono. «Possono avere bambini?», chiede il brasiliano. «No. Non possono adottare». «Possono fare una festa di matrimonio?», «Sì, e possono naturalmente divorziare». «Divorziare?» Per il pakistano Khalid è il colmo dei colmi. Domani al telefono con la madre a Peshawar racconterà questo, oppure tacerà per non farla preoccupare.
La classe è arruffata. Quante sorprese. E soprattutto abbiamo sottovalutato come sempre i sudamericani. L’argentino infatti attende un momento di calma: «Mio nonno ha dieci donne e cinquantasei figli. Seriamente. È un caso incredibile».
«Dieci mogli e cinquantasei figli?», esclama Shaila per la quale qualunque descrizione dell’India e delle famiglie indiane comprende l’espressione «tanta gente», ma questo è davvero troppo. «Dieci donne non sposate. Non c’è contratto. Vivono in una granja. Come si dice in italiano? Fattoria». José cerca la foto del nonno poligamo sul telefono. Ci aspettavamo un tomo a cavallo nella pampa e invece è un uomo vecchio e minuto con la mascherina per il Covid. Esplosione nella classe. «Come possono dieci donne in cucina?» è la preoccupazione di Sonia, bengalese. «Possono fare i turni come in fabbrica». «Contratto part-time». Nessuno ha mai riso così tanto.
Hanno parlato un’ora in italiano tra loro senza nemmeno accorgersene. ‘Ora possiamo andare a dormire’, concludo. Kazi raccoglie i libri dentro uno zaino e mi saluta con aria preoccupata: «Professoressa, 67 anni di lavoro è tantissimo. Io non posso dormire».