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 2023  febbraio 20 Lunedì calendario

Intervista a Pier Carlo Padoan

La Bce ha sbagliato i tempi, ma ora non può cambiare strategia. «È come gli antibiotici, non li interrompi a metà – riassume Pier Carlo Padoan -. Devi mantenere quello che annunci, altrimenti perdi la reputazione». L’economista romano, arrivato alla presidenza di UniCredit dopo una lunga stagione al Fondo monetario e all’Ocse, e quattro anni come ministro del Tesoro, si schiera con chi invita Francoforte «a non guidare a farei spenti nella notte». Viviamo un tempo incerto che richiede disciplina, responsabilità e flessibilità. Ce l’ha con la Germania troppo concentrata su stessa, è allarmato dall’Europa divisa, ma non troppo dall’Italia. «Il nostro futuro e le relazioni con i partner dipendono dalla nostra capacità di rispettare gli impegni del Pnrr». Tutto si lega, lascia intendere. Anche il successo di una revisione del Patto di Stabilità che, ben avviata, in questo momento gli dà parecchi pensieri. «La proposta di riforma che ha come padre il commissario Ue Paolo Gentiloni è molto interessante – afferma -. Purtroppo, l’accoglienza ricevuta dimostra purtroppo che in Europa si è già perso lo spirito nato nei giorni della lotta al Covid. Tre anni fa, di fronte una grave minaccia esterna, l’Unione ha trovato compatta una soluzione europea. Ora siamo tornati alla differenziazione tra falchi e colombe, Nord e Sud, frugali e indisciplinati. Lo trovo preoccupante».
Perché?
«La pandemia ha generato il programma NextGenerationEu e quindi il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). È stato un grande passo in avanti. Adesso si torna indietro. Si sta discutendo su una riforma, quella del Patto, che si ispira proprio al NextGen. È chiaro che c’è qualcosa che non va».
Cosa?
«Non va che si critichi l’approccio di Gentiloni solo perché è diverso dal modo tradizionale in cui siamo abituati a pensare. Per due motivi. Uno è che pone al centro della strategia la crescita sostenibile; l’altro è che offre ai governi molta più responsabilità positiva. Prima c’era molto più bastone che carota. Ora la carota sarebbe più ricca, il patto premierebbe chi se lo merita chiedendo ai Paesi di essere più responsabili».
La Germania è contro le relazioni bilaterali con Bruxelles sui piani di rientro dal debito. Vuole vigilanza centralizzata.
«Berlino ha imboccato una linea individualista. In passato era un Paese più falco che colomba, ma con una chiara prospettiva europea. Adesso, coi 200 miliardi di euro per la sicurezza, e l’abbondante utilizzo degli aiuti di Stato, sta lasciando passare l’idea che ogni capitale possa lavorare da sola alla soluzione dei problemi. Una strategia meno domestica e di più ampio respiro farebbe bene sia alla Germania sia all’Europa».
Che si deve fare?
«Gli Stati devono essere più reattivi. Quello che sta facendo il governo italiano per accelerare la messa a terra del Pnrr, tramite la delega al ministro Raffaele Fitto del controllo e implementazione dei progetti, va nella direzione giusta. È un modo per assicurare la priorità del Recovery ed è anche l’ammissione che la risposta dalla Pubblica amministrazione è stata insufficiente. Così, il governo manifesta la volontà di andare avanti e sin qui tutto bene. Poi, si vedrà».
Giusto auspicare più flessibilità di spesa?
«È ragionevole, a patto che sia una condizione per crescere di più. Dopo l’invasione russa in Ucraina, il quadro europeo è mutato. Il modello iniziale del NextGenEu deve essere cambiato e adattato alla situazione. Serve più attenzione sull’energia ed è corretto chiedere maggiore flessibilità per questo».
Roma ha chiesto di congelare il Patto di Stabilità per un anno in più. È andata male. Come se lo spiega?
«Probabilmente alcuni governi hanno visto nella richiesta il ritorno del Paese a cui non si poteva dare fiducia. Può essere stato negoziato male, o nei tempi sbagliati, francamente non lo so. La verità è che bisognerebbe ricostruire lo “spirito del Covid”, ossia riscoprire una visione comune. Non sta avvenendo o avviene male. Si ragiona in termini di “Do ut des”, non di efficacia. In tal modo, si sostiene un equilibrio meramente di breve periodo. Soprattutto di fronte alle minacce estere, dall’Inflation Reduction Act (Ira) statunitense alla Cina. Oggi più che mai serve un’Europa compatta».
Come convinciamo i falchi delle nostre esigenze?
«Rispettando gli impegni, intanto. Il che, paradossalmente, per noi significa spendere di più. Se non lo si fa, dimostriamo di non saper sfruttare un’occasione storica e lasciamo che i frugali ci chiedano “A che vi serve?”. La qualità della risposta sulla governance sul Recovery diventa cruciale».
Ci occorre più diplomazia europea?
«Al di là di quello che si vede, consiglierei un rapporto continuativo con l’Europa e i partner, a ogni livello, non solo ministeriale. È necessario dimostrarsi seri nelle richieste e nelle realizzazioni degli impegni. Questo governo, se non cambia il quadro politico, ha di fronte a sé un orizzonte molto lungo. Ha tempo, ha le risorse del Pnrr e ha il consenso. Ai tempi miei non era proprio così, le risorse erano largamente inferiori. Il governo ha, soprattutto, la possibilità di dare certezza senza la quale gli investimenti delle imprese non ci saranno. Ci sono, insomma, le opportunità per creare il giusto ambiente virtuoso».
Restiamo sul Pnrr. Giusto riorientare i fondi sulle transizioni?
«Sì, certo. L’ambiente e la tecnologia. Ora l’energia è ancora più centrale e bisogna accelerare. Magari ricordando che tutto ha un costo elevato. La doppia transizione per funzionare necessita di importanti capitali pubblici e di ingenti investimenti privati. Il NextGenEu ha un ruolo strategico di grande rilevanza, in tal senso».
È favorevole alla creazione di un fondo sovrano europeo in chiave anticiclica?
«È una soluzione europea a un problema europeo ma con un orizzonte di lungo periodo».
Che si sta arenando.
«Di nuovo. È un problema di azione collettiva. Bisogna scegliere e finanziare i progetti insieme. Come accaduto per Sure, che fu lanciato originariamente da Fabrizio Saccomanni«.
Gentiloni ha accarezzato il sogno di uno Sure energetico. Morto pure questo. Come mai?
«È successo per ragioni di interesse nazionale. Un simile strumento comportava scelte comuni con risorse da reperire sul mercato. Sono persuaso che senza un mercato unico dell’energia non ci sarà un vero mercato unico europeo. Alcuni Paesi preferiscono mantenere il proprio modello».
Come valuta la strategia della Bce sui tassi?
«"Ci siamo sbagliati”, ha detto il vicepresidente della Bce, Luis De Guindos. È vero. La cura è giusta, ma quando la cominci, devi finirla. Il problema, se vogliamo, è che forse si è impiegato troppo tempo per agire».
Per quale motivo?
«Quando l’inflazione ha iniziato crescere, ci si attendeva un’accelerazione. La Bce non ha reagito immediatamente ma solo in seguito ha operato un repentino cambio di strategia. Ora non può essere smentito, sarebbe un errore doppio».
Dopo l’aumento di marzo, si impone una svolta?
«Lo spero, sempre che ci siano le condizioni. L’importante è che la Bce abbia un’idea chiara delle tendenze di lungo periodo. Non sono obbligati a dirlo, ma è importante che succeda. La politica monetaria è più un’arte che una scienza e richiede di ragionare su cose che non si vedono».
Meglio evitare di guidare a fari spenti nella notte, come dice Fabio Panetta.
«Sì, sono d’accordo». —