il Giornale, 20 febbraio 2023
La macchina che può dare la scintilla alla fusione nucleare
La scintilla che può accendere il mondo è dentro un anonimo capannone ai confini di Padova. E succede spesso che il corso della storia passi nei posti in cui meno te l’aspetti. È come un flusso di cose che trovano il punto finale, che in questo caso vuol dire energia. Pulita. Per sempre.
Lo chiamano accendino, ridendo, quasi vergognandosene un po’. «Per anni i fisici hanno pensato che parlare alle persone fosse eresia - racconta Piero Martin -. Come se certe cose fossero quasi una questione privata». Lui, che insegna alla locale Università, con il Consorzio RFX (Reverse Field eXperiment) collabora da anni. Ma soprattutto ora è il responsabile scientifico del Consorzio DTT, quello che a Frascati sta costruendo un altro pezzo del sogno del futuro. La fusione nucleare.
La strada per arrivarci sarà lunga. L’Italia è in prima linea. Anche se poi al centro di tutto ci sarà ITER, l’impianto che dovrebbe illuminare il futuro e che aprirà i suoi test nel 2032 in Francia. Una centrale a cui stanno lavorando insieme Europa, Giappone, Corea, Cina, Usa e Russia. Perché non c’è guerra che tenga quando la scienza ha un obbiettivo più grande. «Poi (...)
(...) ovviamente bisognerà vedere quando si arriverà al risultato concreto aggiunge Martin -: finché c’è da mettere a punto si va tutti d’accordo, e per adesso è così. Poi, nel momento in cui c’è da sfruttare una tecnologia, l’ingegno umano a volte viene messo a dura prova dagli uomini...». Intanto a Padova (perché il DTT di Frascati invece vedrà la luce tra cinque anni) gli esperimenti sono due, perché oltre alla scintilla per accendere il Sole sulla Terra, si lavora anche alle «ciambelle» (hanno questa forma) dove il plasma provocherà appunto la fusione. Grazie a quella scintilla che trasformerà idrogeno e deuterio in elio, e quindi in calore, e quindi in energia, come sulla nostra stella. Insomma: si smonta e si rimonta, si prova e si modifica, si sogna. In grande. Dentro a un capannone come altri, ma solo per chi non ha occhi per vedere cosa c’è dentro.
LA PASSEGGIATA NEL FUTURO
Il giro con l’Ingegner Vanni Toigo è come un salto nel futuro smontato a pezzi. La sua qualifica è NBTF Project Manager, e qui la sigla sta per Neutral Bean Test Facility, in pratica la custodia dell’accendino atomico. Ma se andate e vedere su LinkedIn c’è scritto solo «ricercatore Consorzio RFX, 37 anni e 8 mesi»: una vita per la scienza, in pratica, ed ecco perché parla di tutto quello che c’è lì dentro neanche fosse un Mastro Geppetto dell’innovazione che vede il suo Pinocchio fatto di cavi, tubi, bobine, acciaio e strumenti sofisticatissimi diventare l’adulto che tutti i genitori vorrebbero. Genitori ingegneri, appunto. Non a caso quella macchina meravigliosa si chiama MITICA, ed è il frutto di 150 metri di percorso spiegato punto per punto, partendo dalla produzione di elettricità per arrivare contro un muro: «Per ora noi possiamo provare ciò che sarà necessario quando avremo la centrale da attaccare alla macchina. Facciamo un sacco di lavoro per nulla, dicono. Ma quel nulla, un giorno, sarà Tutto».
MITICA, tra l’altro, ha una sorella minore che si chiama Spider, praticamente un prototipo del prototipo che la guarda dall’altra parte del capannone, perché tutto deve essere calibrato senza possibilità di errore: «A questo progetto ci lavorano Giappone, India, Europa, ed è fondamentale per ITER». E allora: l’accendino è un impianto complesso che deve realizzare una magìa, accelerare un atomo per portarlo a realizzare altissima energia grazie alla forza elettrica. «E non si agisce su un atomo neutro spiega l’Ingegnere - ma su uno ione: invece di sottrarre noi aggiungiamo un elettrone per dare la carica, creando una sorgente grandissima per produrre tantissima corrente». Alla vista è un enorme pentola con un coperchio pieno di buchi collegato ad un altro simile poco distante per creare tensione: «La forza elettrica che estrae le particelle arriva fino a 1 milione di volt, poi quando queste escono dalle griglie hanno energia ma ancora carica, e quindi passano attraverso altri oggetti che la tolgono. A quel punto entrano nel plasma e...». Bum. Il miracolo.
Il tutto attraverso tubi, contenitori, cavi elettrici, strani macchinari. Si parla di gas isolanti, acceleratori, neutralizzatori e di tokamak, che sarebbe (in russo) una «camera toroidale con spire magnetiche», in pratica il cuore del reattore nucleare a fusione nella forma della ciambella di cui si diceva, nel quale onde elettromagnetiche provocano il riscaldamento interno. A Frascati e a ITER si utilizzerà quello, ma a Padova in un’altra area si sta lavorando al «reverse field pinch», una camera in cui il plasma stesso si autoalimenta torcendosi per arrivare agli oltre 10 milioni di gradi necessari per completare il lavoro. Stando attenti grazie a una gabbia magnetica che non tocchi mai le pareti finendo per spegnersi.
«Spider funziona solo a 100mila volt spiega ancora l’Ingegner Toigo, guardando tutti i pezzi allineati e catalogati come se fossero pronti per il montaggio di un armadio di casa -: dal 2018 e per tre anni ha funzionato e ci ha dato moltissime informazioni, così come indicazioni per fare delle modifiche. Ripartirà a metà di quest’anno, e per fare un esempio qui si arriva a una carica di 70 ampere di ioni su una superficie di 2 metri per 70 centimetri, con 1280 buchi da cui si estraggono. Per dire: al Cern, un altro acceleratore, si usa una carica di un milionesimo di ampere, e non è per vantarci, eh. (ride...) Qui c’è poca corrente ma un’altissima tensione: alla fine vuol dire che 1 milione di volt portano a produrre 60 megawatt: come una centrale idroelettrica». L’orgoglio è evidente, glielo si legge negli occhi e nelle parole. Chissà poi cosa succederà quando, nel 2025, MITICA comincerà a funzionare davvero: «Stanno arrivando le pompe criogeniche per il raffreddamento: per la rigenerazione sarà come scongelare il freezer per liberare gas».
SCIENZA E CULTURA
Il giro continua nell’enorme stanza in cui si protegge dietro un velo l’alimentatore gigante fatto a torri cilindriche, nella quale incrociamo un tecnico giapponese tutto inchini e sorrisi: «Questo progetto è un’esperienza culturale incredibile. Anche se io dico sempre che un italiano contro un giapponese vince, ma se ci sono dieci giapponesi contro dieci italiani non abbiamo chance». A RFX lavorano circa 200 persone e le competenze spaziano da fisica e ingegneria fino a termomeccanica e chimica, perché in questa grande avventura green c’è pure una polverina magica che ha bisogno di cure: «Il cesio aumenta di dieci volte gli ioni, ma non può andare in contatto con l’aria sennò esplode. Così c’è un piccolo laboratorio con i forni dove sigillare le capsule, che poi si aprono dentro l’impianto». Ancora: due passi e siamo fuori, davanti alla grande centrale che produce la corrente lanciata 150 metri. E così finalmente - si fanno i conti, per scoprire che per tutto questo lavoro basta meno di un chilo di gas: «Il fattore di moltiplicazione tra reazione chimica e quella nucleare è di un milione. Per cui con un grammo di materiale si può produrre, con l’attuale tecnica di fissione, la stessa energia che arriva da una tonnellata di petrolio. E nella fusione quel milione diventeranno quattro». È il futuro, in 50, forse 40 anni, chissà anche meno, l’Ingegnere guarda lontano e sorride. Anche perché il fatto che per illuminarlo serva un accendino, è in fondo pura ironia.