Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  febbraio 20 Lunedì calendario

Ritratto al veleno di Carlo Calenda

Quando Carlo Calenda, la scorsa Pasqua, trascinò tutta la famigliona allargata in un epico viaggio a favore di Twitter nella Grecia classica, la cosa - come spesso succede coi Calenda’s  un po’ clan, un po’ dinastia, un po’ sezione politica - si trasformò in uno show mediatico. Esaltante per lui, estenuante per i follower. In pochi giorni Karolos Kalendas, detto il Pericle di Roma nord, lastricò la strada fra Micene e Delfi di post, video, foto, racconti omerici, sandaloni, dirette Instagram, daje, Stacce, ’na cifra e una spocchiosa sensazione di voler portare, lui, la democrazia ad Atene. Dimostrando una rara capacità nel trasformare con un tweet il Mito in farsa e un viaggio-vacanza in leggenda. Si chiama politica. Tsipras, ghenos e la terza via del pariolinismo.


Alle Calendas Graecas. Grecia Calenda est. Cuando Calenda el sol. Calenda de luna. Calendotto non andare via.


Va be’, dai. Le elezioni regionali sono andate. Ha vinto la destra, il Terzo Polo è diventato il quarto, o quinto. E il prossimo Sanremo lo condurranno Majorino e la Moratti, con super ospite Carlo Calenda che legge una lettera a sé stesso bambino quando - già così precisetto - recitò nel film di famiglia Cuore. Tema del monologo: «La coerenza in politica».


Coerente fino all’autolesionismo («Ho detto che mi alleo con te qualsiasi cosa succeda, Enrico: fidati»), affidabile (in un decennio di carriera politica è passato da Italia Futura, Scelta Civica, Pd, Siamo Europei, Azione...), autocritico (da cui l’immortale «Gli elettori decidono ma non hanno sempre ragione»), simpatico (tweet trend topic: #Calenda si sta sul cazzo da solo), cosciente dei punti forti («Non c’è dubbio che io abbia un carattere di merda»). E soprattutto dotato di una granitica chiarezza nelle sue posizioni rispetto alla storia delle dottrine politiche.


Riformista a seconda delle stagioni, rivoluzionario folgorato sulla via sudamericana di Salvator Callende, progressista perché in Italia non si può non esserlo, laburista convinto (da cui il suo motto Labor vincit omnia, ma una buona raccomandazione ancora di più), macroniano a legislazioni alterne, all’occorrenza moderatamente di destra, (anti)reziano di ferro, liberista pentito e liberale redento (certo però che farsi dare del «comunista» dal senatore Pillon...), Carlo Calendator  detto il Temporeggiatore perché gli serve sempre un po’ di tempo per capire dove è meglio posizionarsi  sembra fatto per la politica. È la politica che non fa per lui. Come ama sempre ripetere: «E vabbé».


Nato fra le trippe della Roma borgese - la pariolinità è toponomasticamente dubbia, il quartiere Africano il suo quarto di nobiltà - cotè intellettuale e costine d’agnello, un po’ sinistra aristocratica che piace alla destra un po’ aristocrazia délabré che piace alla sinistra, Carlo di secondo nome fa Ulianov, perché nato il 9 aprile, giorno in cui Lenin iniziò la Rivoluzione. Un destino? Nel suo albero genealogico: un nonno ambasciatore e consigliere al Quirinale con Pertini, una nonna principessa siciliana, un padre economista e scrittore, un altro nonno e una madre registi, ramo Comencini, un prozio padre dell’industria nucleare italiana, e vaglielo a spiegare oggi ai Cinque stelle... Fijo d’arte, di papà e de ’na mignotta, sul suo orizzonte non poteva non risplendere il Sol dell’avvenire. 


L’avvenire di Calenda è incerto  fra i due sopravviverà Matteo Renzi, non perché è più intelligente, ma perché più cattivo  il passato invece è già Storia. Anno di nascita 1973, segno Ariete, ascendente «Buttala in caciara», scuole Montessori (e si capiscono tante cose), Classico al Mamiani  risse, brutte compagnie, Cannae, Cannarum - rimandato in quattro materie il primo anno, in due il secondo e bocciato al terzo; tessera precoce della Federazione giovani comunisti, single dad a sedici anni, poi laurea in Giurisprudenza tirata via, un lavoretto per una società finanziaria che gli insegna, vendendo polizze, come si può piazzare se stessi, la solita gavetta e la classica spinta di famiglia: il nonno lo fa entrare in Ferrari  dove diventa uno dei Montezemolo boys - e quindi in Confindustria. L’avventura a Sky non è granché. La carriera diplomatica non va bene. E allora, cosa si fa in questi casi?


La politica  parafrasando quel tale  è un appello al quale troppi rispondono senza essere stati chiamati. E lo sventurato Calenda, rispose.


Politico innamorato dei tecnici  voleva sposare Mario Monti e chiudere Draghi a Palazzo Chigi buttando via la chiave  Carlo Calenda è diventato un magistrale tecnico della politica. Misteri delle irresistibili ascese al potere. Alle elezioni del 2013, candidato con Scelta Civica, non viene eletto, ma entra a far parte del governo Letta, viceministro dello Sviluppo economico. Nel 2016, senza essere del Pd, viene nominato dal governo Renzi Rappresentante permanente d’Italia a Bruxelles. Due mesi dopo è promosso ministro e quando Renzi cade sul referendum costituzionale viene confermato nell’incarico dal nuovo governo Gentiloni. Nel 2019 è eletto europarlamentare col Pd (anche se subito dopo migra nelle file di Renew Europe), da cui esce da lì a poco per lanciare la sua nuova formazione politica, Azione. Si candida sindaco di Roma, perde, si allea con Italia Viva e nasce il Terzo Polo, che oggi è già morto. E lui è sempre in tv. Difficile pensare a un altro politico che nella storia della Repubblica abbia ottenuto così tanto con così poco, a parte la Gelmini e la Carfagna. Chapeau. Che a Roma si dice: «Nun te se po’ votà».


Zelig avviluppato da anni alla colonna di Marco Aurelio, capace di recitare tutte le parti in commedia (c’ha er cinema nel sangue), parlata strascicata, irascibile, un rapporto incontinente con Twitter (scrive troppo, ma come dice chi lo conosce bene, «quando non scrive nulla di solito è anche peggio»), un ego sovradimensionato al suo metro e 80 per 80 chili, fumatore ossessivo, abbigliamento street style perennemente sgualcito  polo oversize, campo largo e visioni ristrette - Carlo Calenda, cinquant’anni a breve, deve decidere cosa fare. O almeno, chiederlo a Renzi.


Carlo il gatto, Renzi la volpe: è noto che nel Terzo Polo i compiti si dividono equamente. Quando le cose vanno bene è merito di Renzi, quando vanno male è colpa di Calenda. E comunque, il primo ormai è favorevole a mollare il secondo; il secondo a sfidare il primo a Congresso. Pare un western all’amatriciana.


Cose cui è favorevole Carlo Calenda: il ponte sullo Stretto, i matrimoni gay, le famiglie omogenitoriali, la pajata coi rigatoni, lo ius soli temperato, il Cannellino di Frascati ghiacciato, il Nucleare, prendere il posto di Forza Italia, bloccare la gente su Twitter. 


Cose cui è contrario Carlo Calenda: Renzi, gli elettori che votano male, Renzi, la frase «Cambi sempre partito, sei un falso», Renzi, le fetish model, Renzi. Non ha ancora preso posizione sul maritozzo: con la panna o no?


Poi, ci sono le calendate. Tipo. Quando disse «Non possiamo stare tutti insieme in un’ammucchiata» a una riunione in cui convocò le sue dodici personalità. O la volta in cui, durante la campagna elettorale per il Campidoglio, postò una foto con la mano alzata e la maglietta con la scritta Po’ esse piuma o po’ esse fero. Messa in produzione, ne distribuì diversi esemplari a Ostia. Ah, e poi ci sarebbe l’ultimo tweet prima del voto, quando ha detto che Berlusconi dovrebbe sparire.


E poi è sparito lui.