Corriere della Sera, 19 febbraio 2023
Su "Il lavoro di oggi, la pensione di domani. Perché il futuro del Paese passa dall’Inps" di Pasquale Tridico con Enrico Marro (Solferino)
Il pianeta di nome Inps ha due porte d’accesso. Non è cosa facile entrare nei suoi meccanismi. O meglio non lo era. Un po’ si deve alla tecnologia, a quell’identità digitale che permette a oltre 30 milioni di italiani di avere rapporti con l’amministrazione statale più semplicemente; un altro po’ purtroppo a quella tragedia chiamata Covid che ha avvicinato lo Stato e il suo braccio Inps ai cittadini. E così, tra bonus, agevolazioni, assistenza, Naspi per chi ha perso il lavoro, fino a quei 16 milioni di italiani che ogni mese ricevono un assegno pensionistico, di fatto l’istituto si è allontanato dall’essere un moloch da scalare a colpi di code in uffici affollati e call center che non rispondono. Certo, quell’acronimo, Inps, è sinonimo di pensione. Che è l’altra faccia della medaglia del lavoro. E anche qui, emerge il doppio volto di un istituto che rappresenta uno dei grandi patrimoni del Paese.
Pochi numeri per capirne la portata. Nel bilancio 2021 l’Inps ha raccolto 237 miliardi di contributi, 145 di euro di trasferimenti dallo Stato, 4,5 miliardi da entrate minori. Sono entrati 386,4 miliardi e usciti 384,8. Tanto per avere un metro di paragone, tutta la spesa pubblica italiana è pari a circa 814 miliardi. Come si capisce dalle cifre così importanti per lo Stato e così altrettanto importanti per i cittadini in termini di assistenza e pensioni, per entrare all’Inps si può scegliere di entrare dalla porta del palazzone di via Ciro il Grande all’Eur. Architettura razionalista, esso stesso simbolo dell’operatività e della funzionalità dell’istituto. Capire come la nostra vita, dei nostri giovani come dei lavoratori o dei pensionati, delle imprese si intrecci con l’assistenza che l’Inps dà ai cittadini. O si può entrare da quel gioiello neoclassico che porta il nome della famiglia che lo acquistò: Palazzo Wedekind. Un indirizzo che dice molto: Piazza Colonna, la stessa di Palazzo Chigi, sede del governo. Quasi plastica dimostrazione di quanto le vicende di un pezzo decisivo per il funzionamento dello Stato si intrecci con la politica. Per riforme in via di riforma come il reddito di cittadinanza, o per quello scandalo che ancora ci costa e che impedisce di essere più vicini ai giovani che si chiama “baby pensioni”. Da quel grande terrazzo del piano nobile affacciato sulla piazza, sede di rappresentanza Inps, si guarda con estrema attenzione a quanto accade nel “Palazzo” per eccellenza. Viene facile farlo da Piazza Colonna perché il suo presidente ha visto intrecciarsi non poco la sua strada con quella di Palazzo Chigi.
Pasquale Tridico è l’inventore e teorico del reddito di cittadinanza, del decreto «dignità», consigliere dell’allora ministro dello Sviluppo economico e del Lavoro, e vicepresidente del Consiglio, Luigi Maio, proprio nell’edificio a fianco di Palazzo Wedekind. Di tutte quelle scelte cioè, che hanno caratterizzato i 5 Stelle al governo. E se lo si fa accompagnati da uno dei giornalisti più puntuali e firma economica di riferimento del «Corriere della Sera», il viaggio tra i corridoi di quei due palazzi diventa non solo un percorso su come e quanto l’Inps pesa sulla nostra vita oggi, ma anche sul futuro. E si capisce che quella tra Enrico Marro e Tridico può essere non solo una sfida intellettuale ma anche una sorta di guida se diventa un libro come quello pubblicato da Solferino «Il lavoro di oggi la pensione di domani – Perché il futuro del Paese passa per l’Inps»(195 pagine, 16 euro). Non è un caso che quello delle pensioni sia un capitolo dei più importanti. Non solo perché le modifiche, parziali, introdotte dal nuovo governo preludono o devono preludere a una risistemazione complessiva delle norme, ma anche perché si tratta di arrivare a un approccio completamente diverso. Quale? «La differenziazione delle età di pensionamento in base al lavoro svolto», dice ad esempio Tridico. Soprattutto tenendo a mente che le diverse generazioni hanno e avranno diversi trattamenti. E alla domanda se i giovani prenderanno la pensione è Marro a sottolineare come sono i lavoratori forti a usufruire della possibilità di lasciar prima il lavoro. Vale a dire quelli che «hanno sempre lavorato e ricevuto stipendi crescenti, mentre a rischiare di restare al lavoro fino a 70 anni sono i lavoratori più “deboli”, quelli cioè che hanno fatto più anni di precariato e quindi hanno difficoltà a raggiungere il minimo di contributi di 20 anni o un assegno di importo minimo pari a 1,5 volte l’assegno sociale (755 euro al mese nel 2023), come richiede la legge».
E non sarà solo quello delle pensioni a essere il capitolo da cambiare. Anche per il reddito di cittadinanza, dopo le modificazioni parziali già avviate, si annunciano ancora altri e pesanti cambiamenti. Quel reddito al quale Tridico è particolarmente legato. Anche per un’attenzione alle «disuguaglianze, la disoccupazione, la povertà». Perché, come dice Marro, lui questi problemi li ha vissuti sula sua pelle. Arriva a essere professore di economia all’Università di Roma Tre partendo da un paesino della Calabria dove i suoi due genitori – racconta – lavoravano la terra, non sapevano né leggere né scrivere. Un «figlio dello Stato sociale», si definisce. Nato in una famiglia con sette fratelli e sorelle, papà sordomuto che impara a dire qualche parola solo dopo di lui e solo dopo che la mutua gli fornisce, a danni ormai irreparabili, un apparecchio acustico. Da qui quell’attenzione a uno stato sociale che deve capire come spendere meglio i suoi soldi. Soprattutto quando vuole aiutare i più deboli, chi non trova lavoro. E allora meglio focalizzarsi sulla «decontribuzione per l’assunzione dei giovani»; o per le donne «meglio sgravi per le assunzioni successive alla nascita del primo figlio». Ma Tridico sa, essendo uscito da Palazzo Chigi da consigliere di Di Maio per entrare a fianco a Palazzo Wedekind da presidente Inps, che da quelle stanze passa molto dell’articolazione pratica delle idee di chi si ritrova alla guida del Paese. E che quindi come dice sul finire del libro: «Quando scadrà il mio mandato tornerò a fare uno dei lavori più belli del mondo».