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 2023  febbraio 19 Domenica calendario

Su "Sole amaro" di Lilia Hassaine (e/o)

Provincia di Sétif, Algeria, 1959. Naja è una giovane donna che ha già tre figlie: Maryam, Sonia e Nour. Ne avrebbe quattro, di figli, se il suo primogenito Ismael non fosse morto quando aveva tre anni per un’angina pectoris: quel figlio che ha perso non l’abbandona mai. «Naja aveva solo ventisei anni, ma viveva già nell’angoscia della perdita. In quel luogo tutto era estremamente fragile».

Lilia Hassaine, giornalista e scrittrice, racconta in Sole amaro — finalista al Prix Goncourt e al Prix Goncourt des Lycéens 2021 — vent’anni di storia, dagli anni Sessanta agli Ottanta, condensati in un pugno di piccoli personaggi, fragili come il loro Paese d’origine, che lottano tra la disperazione di essere costretti all’immigrazione e la speranza di costruire davvero un futuro nella terra in cui approdano.

L’Algeria è un Paese povero, segnato dalla guerra e dalle morti, un Paese, tuttavia, amatissimo da chi è nato qui. Ma chi è nato qui, suo malgrado, spesso deve andar via. Così ha fatto Said, il marito di Naja, che lavora in una fabbrica a Parigi. Tanti mariti vanno via e non tornano più, tanti si rifanno una vita con le donne francesi e si dimenticano della famiglia. Naja ha paura che succeda anche a lei e alle sue figlie — come farebbero? — ma, all’inizio degli anni Sessanta, si ritrova anche lei nella regione di Parigi, in quell’immenso luogo astratto che non è la città e non è nemmeno un altrove. Un luogo astratto fatto di quartieri popolari per gli operai, dove Naja e la sua famiglia sperano di trovare la felicità.

Nel 1964 Naja è di nuovo incinta. Ha già capito che la vita a Parigi è tutt’altro che dorata, ha già sperimentato la durezza di essere un immigrato — non appartieni più al posto in cui sei nato, che pure ti rimane impresso sulla cornea, appare davanti a te appena chiudi gli occhi, e non apparterrai mai al posto in cui vivi, nessuno ti permetterà di diventare davvero, da immigrato, cittadino — e all’arrivo a Parigi ha trovato suo marito Said cambiato. È diventato violento, beve, è sempre stanco. Frustrato dalla povertà e dalla mancanza di un orizzonte (rimarremo sempre poveri così? Sempre esclusi così?), ha trasformato i sogni in rabbia. È maschilista, ossessivo, cattivo con le donne della sua famiglia. Quando Maryam compie 15 anni la ritira dalla scuola e la obbliga a sposarsi. Le donne sono niente, mani che cucinano, occhi che si abbassano, uteri che producono figli — si spera figli maschi —, corpi che si segnano sotto i colpi delle mani degli uomini, corpi che si sgretolano e ritirano e sciolgono in una vecchiaia precoce, indotta dalla tristezza, dalle rinunce, e dall’imposizione del silenzio. Intanto, Naja ha partorito due gemelli, Amir e Daniel. Amir, che ha avuto problemi alla nascita, è magro e cagionevole. Daniel è forte e gioioso, e attira gli sguardi di tutti. I bambini, però, non sanno di essere fratelli. Quando ha scoperto che sua moglie era incinta, Said ha deciso di dare il bambino a suo fratello Kader, che vive a Parigi e ha sposato una francese, Ève. Kader è molto più benestante di lui, il figlio avrà una vita migliore. Il cuore, il corpo, la testa di Naja si sono spezzati ma ha dovuto obbedire al volere di sua maestà suo marito. Ma, quando ha partorito, ha scoperto di aver dato alla luce due gemelli. Amir, quello più fragile, è rimasto con lei e le tre sorelle. Daniel è andato a vivere con Ève.

Quando arrivano gli anni Settanta, dei sogni non è rimasto niente. I quartieri popolari sono sempre più degradati, le case si spaccano e crollano, Naja e le altre donne immigrate e povere che vivono lì cercano di non soccombere sotto i colpi degli uomini che le hanno imprigionate ma il prezzo è diventare mute, invisibili, non essere niente. Le figlie di Naja vengono date in sposa una dopo l’altra, oppure scompaiono nel nulla, si ripiegano nella loro rabbia cieca contro tutto e tutti, nessuno trova lavoro, ed è inevitabile che, quando arrivano gli anni Ottanta, il buio dilaghi. Eroina, Aids, morte.

Sole amaro è un romanzo sul doppio, su forze opposte che non smettono mai di combattere. L’Algeria e la Francia, i due gemelli divisi alla nascita, le madri e i figli, gli uomini e le donne, i ricchi e i poveri, la vita e la morte. È un romanzo che gira intorno a un pugno di donne a cui la vita ha tolto tutto, ma che riescono ancora a vivere sprazzi di gioia, piccolissime gioie ancora più fulgide perché sono strappate al buio. È un romanzo di fratelli che cercano di salvarsi a vicenda, che scompaiono e riappaiono nelle proprie vite. «Perché l’amore è così complicato?», chiede Amir a suo fratello. È vero: perché l’amore è così complicato? Lilia Hassaine se lo chiede, e lo racconta, qui, sulla pelle dei suoi personaggi ma anche sulla propria. Forse l’amore è complicato perché è la causa di tutto e il fine di tutto, in fin dei conti. Perché quando cerchi di guardarlo in faccia cambia continuamente forma, ti sfugge, e poi torna, e perché, anche quando sembra che la vita ti abbia tolto tutto, all’improvviso ti acceca.