Oggi, 16 febbraio 2023
Su "Ogni cosa è collegata" di Gabriella Greison (Mondadori)
Ci sono parole che tornano a galla quando meno te l’aspetti, nella mente o in una frase sentita da altri. Come “sincronicità”, che usiamo solitamente per indicare quegli eventi che si verificano nello stesso istante. La sincronicità è una coincidenza, è la casualità che si manifesta assieme ad un’altra, è un deja vù, è il destino che vuole che capitino due cose insieme simultaneamente. Sapete tutti di cosa si tratta, ma siete sicuri che sia solo una coincidenza?
C’è una persona che questa parola l’ha indagata per primo, si chiama Wolfgang Pauli, era un fisico premio Nobel del secolo scorso, e tra i creatori della fisica quantistica. Lo ha fatto con Carl Gustav Jung, lo psicoanalista che questa parola l’ha inventata. I due erano molto amici, e dal loro rapporto è nato un filone di pensiero moderno, che porta oggi all’unificazione di concetti lontani del sapere umano, la mente e la materia, il conscio con l’inconscio, il nostro mondo interiore con le azioni quotidiane, l’amore con tutto il resto.
A Jung, l’intuizione che la vita di ciascuno di noi sia costellata di eventi che hanno un collegamento con il nostro inconscio, viene dopo aver vissuto un episodio illuminante. Una sua paziente gli sta raccontando un sogno, nel quale è presente uno scarabeo dorato. Proprio durante la seduta, Jung sente qualcosa sbattere contro il vetro della finestra, che attira la sua attenzione. Va a controllare, e con
grande stupore vede che si tratta proprio di uno scarabeo dorato.
Da quel momento in avanti, Jung ripone molta attenzione alle sincronicità. Afferma che l’importanza di una coincidenza sta nel significato che essa assume per chi vive l’esperienza. Siamo noi a stabilire un nesso non casuale tra il nostro mondo interiore e ciò che accade fuori. Ma ciò è possibile perché, per Jung, esiste un patrimonio sedimentato di simboli (archetipi) interiorizzato nei secoli e comune ai popoli (inconscio collettivo) a cui la psiche di ciascuno di noi è collegata, e da cui pesca il significato. Quando ci accorgiamo di una coincidenza significativa nella nostra vita è perché ne abbiamo bisogno, e in qualche modo siamo noi a volerla. Non è un caso, quindi, se i fenomeni di sincronicità si intensificano in momenti cruciali della nostra vita o della storia collettiva: ad esempio prima delle guerre, in concomitanza di eventi emotivamente intensi, come lutti o innamoramenti.
Jung scrive il suo trattato sulla sincronicità dopo che Pauli gli parla per la prima volta dell’“effetto Pauli”, uno strano fenomeno secondo cui alcuni oggetti di laboratorio si rompono sistematicamente quando lui è nei pressi. Anche Pauli allora inizia a prestarci attenzione, e va in soccorso di Jung per trovare spiegazioni scientifiche alla sincronicità, tramite la fisica quantistica. Il nostro cervello tenta continuamente di dare una spiegazione alle coincidenze che gli si presentano davanti, perché è la cosa più logica da fare. Mettiamo insieme i pezzi e traiamo delle conseguenze. Lo abbiamo capito dall’esperienza. Esattamente come avviene in fisica, grazie alla statistica. Non sempre c’è una causa che fa avvenire le cose, non sempre c’è un’azione scatenante, ma esiste anche la probabilità che avvengano certe cose che non immaginiamo neanche. Esattamente quello che accade nel mondo dell’infinitamente piccolo: gli elettroni si comportano in maniera strana, non predittiva; grazie all’equazione di Schrödinger possiamo dire che per loro c’è sempre una probabilità affinché qualcosa accada, anche la meno ovvia.
Poi la storia della meccanica quantistica atterra sul concetto di entanglement (cioè intreccio), che Einstein definisce «una strana azione sincronica a distanza», e da quel momento in avanti la teoria della grande unificazione mette a terra le sue fondamenta. E ci mostra che nel mondo in cui viviamo, interiore e fisico, «ogni cosa è collegata».