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 2023  febbraio 19 Domenica calendario

Vacanze di Natale 40 anni dopo

Istruzioni.
Per chi nel 1983 non era ancora nato e il film Vacanze di Natale non l’ha mai visto: non state per leggere solo la storia del primo «cinepanettone», ma di un piccolo grande capolavoro, puro neorealismo sui dorati, edonisti anni Ottanta, firmato dai fratelli Carlo ed Enrico Vanzina.
Per chi, all’epoca, c’era: fermatevi qui e, prima di proseguire, aprite YouTube e mettetevi a palla la colonna sonora, e riascoltatela, resta una roba pazzesca.
Per chi il film – una faccenda stracult, sia chiaro – lo conosce a memoria: continuate a leggere, stiamo andando a Cortina.
Seguitemi.
La neve di ovatta
Eccola qui – sulle note di Moonlight Shadow, la canzone dei titoli di testa – dietro l’ultimo tornante: in una giornata di sole magnifico e di neve fresca e soffice. Che però, quarant’anni fa, non c’era. Il film uscì nelle sale il 22 dicembre, ma fu girato a fine settembre. Gli effetti digitali non esistevano ancora. Il manto bianco è, in gran parte, ricostruito: molta schiuma sulle strade, sui davanzali il cotone idrofilo saccheggiato nelle farmacie della valle, il problema dei campi lunghi viene risolto dalla genialata di un tecnico del suono che chiede a ciascun componente della troupe di portare giù, dalla camera d’albergo, un lenzuolo matrimoniale. Le scene di sci sono girate sul ghiacciaio, con l’aiuto di alcune controfigure. Il film è prodotto da Luigi De Laurentiis e da suo figlio Aurelio. Ci sono anche loro due, in una sala mix di via Margutta, a Roma, per l’anteprima tecnica, insieme ai fratelli Vanzina e a uno dei protagonisti, Christian De Sica, che è accompagnato da sua moglie, Silvia Verdone. Quando si accendono le luci, un silenzio da tagliare a fette. Poi Aurelio si alza e, con un tono che è un miscuglio di stupore e stizza, chiede: «Ma che razza di film avete fatto?» (De Sica, invece, che era agli inizi della carriera, racconta di aver sussurrato a sua moglie: «Il film è bello: Silvié, finalmente se magna»).
La meraviglia di Aurelio De Laurentiis è, però, legittima. I fratelli Vanzina sono infatti reduci dal successo straordinario ottenuto con Sapore di mare (Forte dei Marmi, estate 1964: amori e malinconie, l’Italia del botto economico e di molte ingenuità, tra ombrelloni, risate e baci rubati). Aurelio, entusiasta, li ha convocati nel ristorante romano «Il Moro», dietro Fontana di Trevi, per proporgli un film molto simile, ma ambientato sulla neve. Tutti pensano subito a Cortina. Dove, nel 1959, è già stato girato – la suggestione è forte — Vacanze d’inverno, regia di Camillo Mastrocinque, con Alberto Sordi e Vittorio De Sica. I Vanzina e De Laurentiis firmano il contratto su un tovagliolo. Poi Carlo ed Enrico tornano a casa e cominciano a scrivere il soggetto e la sceneggiatura.
Qui succede qualcosa di speciale. Perché, forse senza nemmeno rendersene troppo conto, i due fratelli iniziano a raccontare com’è il nostro Paese in quel preciso momento. Una specie di instant movie. Con Cortina a fare da scenario ideale. Ci mettono dentro emblematici pezzi di società dell’epoca, descrivendo tipologie umane, conflitti, nuove manie, passioni goderecce, bassezze, modi di dire: c’è la Milano da bere, quella dei ricchi che non si nascondono, e c’è la Bologna opulenta; c’è la borghesia romana cafona e ci sono i romani di borgata, che vogliono inserirsi nel grande sabba del benessere. C’è insomma un’Italia che, al cinema, torna ad essere reale e improvvisamente distante dal pozzetismo e dal celentanismo, dall’impegno militante e dal sublime gigantismo di Sergio Leone.
«Aurelio De Laurentiis temeva che il film non facesse ridere abbastanza – ricorda Enrico Vanzina, suo fratello Carlo è scomparso nel 2018 —. In realtà, noi ci ritrovammo a narrare un Paese che era cambiato profondamente. Essendo cresciuti a Cortina, avevamo visto da vicino, e con sgomento, l’ondata del craxismo, i nuovi ricchi, la loro volgarità, l’arroganza. A sinistra molti non colsero la nostra operazione: si convinsero che il film fosse l’esaltazione di una certa nuova alta borghesia. Noi, invece, ne descrivevamo la tragica mutazione. Poi, per destino crudele, come sappiamo, la famiglia Covelli dei Parioli oggi voterebbe proprio Pd». La forza del film quale fu? «Intanto, poiché i grandi attori dell’epoca, Troisi, Nuti, Verdone, facevano anche i registi di se stessi, noi fummo costretti a fare un film corale. E poi devo dire che azzeccammo la colonna sonora: Dino Risi mi diceva sempre che uno dei segreti di un successo come Il sorpasso erano state le canzoni. La musica contestualizza. Noi utilizzammo il miglior sottofondo degli anni 80». Poi, i dialoghi: crudeli, scorretti, autentici. «E persino moderni. Il film ha anche il merito di aver sdoganato la bisessualità: il discorso che De Sica/Covelli fa ai genitori quando viene sorpreso a letto con il maestro di sci, è di un’attualità straordinaria».

La famiglia Covelli
La casa dei Covelli, in via Spiga, sotto la funivia che porta al rifugio Faloria, è rimasta identica. Scena iniziale: i riccastri arrivano da Roma a bordo di due macchine. Una Maserati guidata dall’avvocato Giovanni/Riccardo Garrone (frase di culto, a metà film: «E anche questo Natale… se lo semo levato dalle palle») con a bordo due dei tre figli, Diamante/Antonella Interlenghi e Luca/Marco Urbinati, e la moglie, interpretata da una bravissima Rossella Como (scende e si accorge che le due domestiche filippine, che erano sulla Jeep Mercedes di appoggio, hanno iniziato a tirarsi palle di neve: «Guarda là… terzo mondo… Assunciòn! Concepciòn! E andiamo… Aho’, e mica v’abbiamo portato in vacanza!»).
Sempre da Roma, ma su una Fiat Ritmo celeste – accompagnata dalle note di Grazie Roma cantata da Antonello Venditti – sbarcano i Marchetti. Borgatari. Meravigliosi. La prima a scendere è la signora Erminia/Rossana Di Lorenzo: «Ammazza come pizzica…». La madre Costanza/Franca Scagnetti: «Ma stamo suedolomiti, mica a Grottaferata, sa’». Scende anche il capofamiglia Arturo, il leggendario Mario Brega: «Aho’, e che cojoni… si dddavate retta a me, co’ treqqquarti d’ora stavamo a Ovindolo». Il figlio è Mario/Claudio Amendola: «A papà, che palle che sei co’ sto Ovindolo, eh»).
Scena terza: si apre lo sportello di una Mini De Tomaso-Innocenti turbo rossa targata Mi 13357T ed ecco Billo, cioè Jerry Calà. Musica di sottofondo: «I like Chopin» di Gazebo (i De Laurentiis, per acquistare i diritti di tutte le strepitose hit scelte dai Vanzina, furono costretti a spendere una cifra enorme: ma, stranamente, la colonna sonora non è mai diventata un album). Calà con Timberland, calzino bianco, giaccone di montone (tipo quello che indossava Messina Denaro al momento dell’arresto), Ray Ban a specchio (tipo quelli che porta Stefano Bonaccini, il candidato segretario del Pd), valigetta: suona al pianobar e s’innamora delle clienti, le illude, le tradisce (frase memorabile: «Non sono bello, piaccio», che lo stesso Calà inventa sul set).

«Alboreto is nothing»
Uno che di frasi nel film ne sforna a raffica è Donatone Braghetti, interpretato dal mitico Guido Nicheli detto Dogui, ex rappresentante di alcolici che diventa attore frequentando, la notte, il giro del Derby di Milano (Cochi e Renato, Jannacci, Teocoli, Beppe Viola). I Vanzina gli affidano il ruolo del milanese facoltoso e sbruffone, sempre abbronzato. (Sfoggiando una pelliccia da urlo, entra all’hotel Cristallo – che rimase aperto per ospitare le riprese – con la moglie Ivana, l’incantevole Stefania Sandrelli, e dice: «Ivana, fai ballare l’occhio sulla “t”: via della Spiga-hotel Cristallo di Cortina, 2 ore, 54 minuti e 27 secondi. Alboreto is nothing!». Salgono in camera, dà una mancia al cameriere: «Ivana… hai visto l’animale come è andato via scodinzolando?»).
Il film è materia di tesi universitarie, ha cinque club, un sito dedicato, Gianluca Cherubini ne ha tratto un bel libro, il web è invaso da spezzoni, c’è chi si è divertito a fotografare le location delle scene più celebri: com’erano, e come sono. Però, a parte la copertura aggiunta alla terrazza dello stadio Olimpico del Ghiaccio (dove – mentre Nada canta «Amore disperato» – Ivana/Sandrelli, insieme alla sua amica Grazia/Marilù Tolo, chiede a Donatone/Nicheli: «Vieni a pattinare?», lui risponde: «Ma la libidine è qui amore: sole, whisky… e sei in pole position»), Cortina appare immutata, immobile. E, quindi, decadente.

Prigionieri del mito
L’albergo che ospitò la troupe ha chiuso. Come il Fanes, dove alloggiava la famiglia Marchetti. Certi negozi non hanno cambiato neppure le vetrine. E lasciamo stare i ristoranti: arredamenti che, nella vicina Val Badia, hanno rottamato da tempo. Aperitivo al bar del Posta: solita misticanza di abitué (con molta imprenditoria del Nord-Est) ed eterni arrampicatori sociali di accento romanesco, Rolex Daytona e Moon Boot, classica speranza collettiva di essere invitati nella casa giusta per la cena giusta. In un paio di decenni, l’unica novità di un certo rilievo è stata la creazione di «Una montagna di libri», la prestigiosa rassegna letteraria inventata da Francesco Chiamulera. In attesa dei Giochi olimpici invernali del 2026, tutti sono come prigionieri di un ricordo. Per capirci: poche settimane fa, Armani ha organizzato un evento nel Vip club, lo stesso locale dove suonava Billo/Calà, e per l’intera serata s’è ballato sulla colonna sonora del film.
Il paese ha accettato di vivere con i suoi fantasmi. I coniugi Covelli, Riccardo Garrone e Rossella Como, sono morti. Come Moana Pozzi, che compare in un piccolo ruolo. E anche Karina Huff/Samantha non c’è più (noi tutti innamorati di lei, e il suo fidanzato De Sica/Roberto Covelli che la tradisce con il maestro di sci. Scoperto dai genitori, si esibisce in un monologo che al tempo sembrò eretico: «Mamma, il mondo va avanti. Tu sei rimasta agli anni 50. Guarda come sei pettinata, c’hai ancora il testone da matta. Papà, a te t’ha fregato il benessere. Tu facevi il capomastro. E invece oggi c’hai i soldi e te scandalizzi. M’hai mandato in America, a New York. Noi semo de Frascatiii!… E poi: mamma gioca a Gin al Circolo Canottieri e se veste da Versace? Tu te metti l’orologio al polso come Gianni Agnelli? E io vado a letto co’ Leonardo Zartolin… perché, nun se po’?»).
L’altro rampollo Covelli, Marco Urbinati – nel film grande amico di Mario/Amendola, un po’ coatto ma tifoso della Roma come lui – ha avuto sfortuna. I Vanzina lo scritturarono anche per un film successivo, Vacanze in America. Durante le riprese, negli Stati Uniti, accadde però qualcosa che nessuno ha mai voluto rivelare. Per lui, poche pose. Dicono non riuscisse più a recitare. Si perse ogni sua traccia. Fu creato persino un gruppo Facebook. Poi l’hanno trovato, c’è un video. È irriconoscibile, grande tenerezza, ma resta indimenticabile quando chiede alla fidanzata Serenella/Interlenghi: «Dì un po’: secondo te, dove lo festeggia il Capodanno Toninho Cerezo? Secondo me, dorme: perché è un professionista» (e, ancora adesso, racconta Cerezo, «ogni Capodanno, in Brasile, ricevo centinaia di messaggi dai tifosi della Roma che mi domandano se io stia davvero dormendo»).
Non c’è altro.
Il viaggio può finire qui.
Mi chiedono se ho voglia di vedere l’albergo per sultani dove Giuseppe Conte ha alloggiato, tra polemiche roventi, lo scorso Natale. Anche no, grazie. E non voglio sapere nemmeno della Santanché con il colbacco di visone e il micro-cane nella borsa.
Si ascolta «Maracaibo» nelle cuffie: e non c’è neve nemmeno adesso, al tramonto, su Corso d’Italia. Solo un grande freddo.
Ma dentro. Nell’animo. Perché sono già passati quarant’anni, accidenti.