Corriere della Sera, 19 febbraio 2023
Robinho e lo stupro, Nordio scrive al Brasile
Di Robinho ricordi il piede fatato, il dribbling, il sorriso. Pelè, esagerando un po’, l’aveva indicato suo erede: «L’ho visto toccare la palla, mi è venuta la pelle d’oca, ricorda me stesso alla sua età». Ma qui si parla di una brutta storia: stupro. Il fatto è del 22 gennaio 2013, il luogo un locale milanese della Bicocca, la vittima una ragazza di origini albanesi. La giustizia italiana ha condannato l’ex campione brasiliano a nove anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo, sentenza passata in giudicato il 19 gennaio dello scorso anno. E Roma ora vorrebbe che la scontasse. Problema: Robson de Souza Santos per tutti Robinho non è in Italia ma nella sua villa al mare di Guarujà, Stato di San Paolo, e da lì non intende schiodarsi. L’Italia ci aveva provato con un mandato d’arresto internazionale e una richiesta di estradizione firmate lo scorso anno dalla ministra Marta Cartabia, e respinte in novembre dal Brasile allora guidato da Jair Bolsonaro: «L’articolo quinto della Costituzione prevede che nessun cittadino brasiliano sia estradato, salvo eccezioni che qui non ricorrono».
Ci riprova oggi il ministro della Giustizia Carlo Nordio in un altro modo: chiedendo l’esecuzione della condanna nel suo Paese, in un carcere di laggiù. La domanda è stata inviata lo scorso 31 gennaio attraverso i canali diplomatici e il destinatario è l’ambasciata italiana a Brasilia che la trasmetterà al loro Ministero della Giustizia e della sicurezza pubblica, lo stesso che ha alzato disco rosso sull’estradizione. Con due differenze sostanziali: l’atto è diverso e il presidente pure. A Bolsonaro, con il quale l’ex attaccante del Milan si era apertamente schierato, è subentrato Lula. Ci sarà un cambio di rotta? Una nuova sensibilità? È presto per dirlo. «Al momento non abbiamo avuto alcuna risposta», fanno sapere da via Arenula. Un segnale c’era stato in gennaio, quando il ministro della Giustizia brasiliano, Flávio Dino, si era detto possibilista: «Può scontarla qui ma la questione dev’essere trattata dall’organo centrale per le cooperazione giudiziaria. È legale, non politica».
Il difensore italiano di Robinho, l’avvocato Franco Moretti, non vuole esprimersi: «Non ne so nulla». Ricorda tuttavia qual è la posizione del suo cliente rispetto alla sostanza della vicenda: «Si è sempre protestato innocente, nei confronti di quella donna non c’è stata alcuna forma di costrizione e induzione». Un paio d’anni fa Robinho era tornato sulla storiaccia con una dichiarazione: «L’unico errore che ho fatto è stato tradire mia moglie». Lei è Vivian Guglielmetti, una connazionale di chiare origini italiane, che gliel’ha perdonata. Sono sposati dal 2009, anno nel quale rimase coinvolto in un’altra violenza sessuale, questa ai danni di una studentessa di 18 anni. Successe a Leeds, ai tempi del Manchester. Ma va detto che in quel caso fu prosciolto.
Ora, a 39 anni, vive con la moglie e i tre figli a Guarujà ed è sparito dalla circolazione. Si è ritirato dal calcio giocato nel 2020, chiudendo la carriera lì dove l’aveva iniziata: Santos. In mezzo ci sono 18 anni di grandi squadre, Real, Manchester, quattro anni di Milan. Di Robinho, che si definisce «seguace di Cristo», c’è qualche traccia in rete dove posta immagini rassicuranti. Lui e Vivian, lui e i figli, lui e Pelè, lui e la fede cristiano-evangelica. Ma su tutto aleggia il fantasma della condanna. Destino nel quale ha un compagno di sventura, l’amico Ricardo Falco, per il quale le autorità italiane chiedono lo stesso trattamento. Non è una consolazione.