La Stampa, 19 febbraio 2023
Benedetta Porcaroli è cresciuta
Una mano tra i capelli e una voglia, contenuta a stento, di stiracchiarsi come una bambina stanca. Poi vengono lo sguardo profondo, i sorrisi pensosi e le parole che sfuggono alle solite gabbie scontate: «Non so spiegare che cosa piaccia di me, mi sento dire spesso che ho un’anima facilmente leggibile. Non so bene che cosa voglia dire, di sicuro sono una persona passionale, che crede molto in quello che fa, e forse questo arriva, trasmette empatia. È una domanda difficile, perché, di solito, vedo molto più chiaramente i miei limiti». Alla Berlinale, in una giornata di pioggia battente e grandi temi, Benedetta Porcaroli, classe 1998, è ospite della vetrina Shooting Stars, riservata ai talenti emergenti di dieci Paesi d’Europa: «Sono onorata e felicissima di essere qui, è un’occasione imperdibile per conoscere i miei colleghi e per confrontarci sul cinema, le lingue cambiano, ma gli argomenti sono gli stessi. E poi la giuria del festival è presieduta da Kristen Stewart, un’attrice che ammiro moltissimo».
Se guarda indietro, ai suoi inizi, quanto si sente cambiata?
«Per certi versi mi sento molto diversa, per altri no, la mia essenza resta quella. Forse, con il tempo, ho acquistato consapevolezza rispetto a tante cose, ma sento anche più forti il rischio e la paura. Certo, ho maggiore capacità di scegliere, mi sento più solida, so riconoscere meglio quello che mi piace, sono più a fuoco».
Quando ha capito che questo sarebbe stato il mestiere della sua vita?
«In realtà molto presto, appena ho iniziato a lavorare. Sul set mi sono subito sentita a casa, ero nel posto giusto. Tutti ripetevano che avrei dovuto farmi un piano B perché quello dell’attore è un lavoro incerto, io, però, non ci ho mai pensato, mi sono buttata in questa avventura investendo tutto quello che avevo. Non mi sento affatto arrivata, penso di aver fatto solo dei piccoli passi e di aver avuto la fortuna di lavorare con registi che stimo. So che la strada è lunga, una maratona, e ho ancora tanto da imparare. Anche per questo quando sposo un progetto sono pronta a tutto, pure a farmi martoriare».
Il successo rende asfissiante l’attenzione dei media. Come resiste alla pressione?
«È il rovescio della medaglia, lamentarsi è ridicolo, ma quando entrano in gioco dinamiche delicate può essere esasperante. Il confine è labile, fino a un certo punto metti in conto quel tipo di attenzione, oltre diventa difficile, soprattutto quando tutto sfocia nel pettegolezzo da salottino dove la tua vita privata è a disposizione di chiunque. Può essere doloroso».
Ha interpretato spesso figure forti, che lasciano il segno, nella serie «Baby», nel film sul delitto del Circeo «La scuola cattolica», in cui era Donatella Colasanti. È difficile lasciarsi alle spalle personaggi così impegnativi?
«Nel momento in cui finisco un lavoro avverto un senso di liberazione totale, sento di dover scindere i terreni e credo di riuscirci. Quello che mi confonde è la mia identità, che a volte si mescola alle esperienze che ho vissuto, alle persone che ho incontrato. Quelle mi rimangono dentro e mi cambiano, questo mestiere ti fa affezionare ai luoghi, alla gente, il nostro è un lavoro totalizzante, che rapisce il corpo e l’anima, si diventa ostaggi».
La sua generazione, quella dei millennial, deve vedersela con boomers invadenti, che non fanno passi indietro. Si sente in qualche modo penalizzata da queste presenze ingombranti?
«Viviamo in una gerontocrazia, questo è un dato di fatto. Tra noi giovani ci sono un sacco di talenti, abbiamo molta consapevolezza e partecipazione, un pensiero preciso su quello che vogliamo, dobbiamo sistemare un sacco di cose, salvare il pianeta, sotto tanti punti di vista, ma ce la faremo, perché siamo bravi».
Siamo in un momento storico complesso, la realtà della guerra è tornata vicina e tangibile, per non parlare del resto. Come vive tutto questo?
«È un’epoca difficile, c’è un’aria tetra, la leggerezza manca, divertirsi senza pensare a niente è complicato, soprattutto per chi ha la mia età. E questo mi preoccupa tantissimo».
Ha recitato nell’horror psicologico «Immaculate», nelle vesti di una suora, e ha appena interpretato una Madonna, anche se molto sui generis. Di che si tratta?
«È stato un regalo meraviglioso. Nel film di Paolo Zucca Il Vangelo secondo Maria sono una ragazza della Galilea che si ribella al suo destino, che vuole studiare, innamorarsi, fare un figlio con l’uomo che ama. Invece le arriva addosso un destino tutto diverso. Abbiamo lavorato benissimo, in Sardegna, due mesi molto intensi, tra il fango, gli scogli, l’acqua, le montagne di quella terra stupenda».
Che rapporto ha con la religione?
«Credo in Dio come energia, credo nel trascendentale, non riesco a ridurre tutto a una vita terrena, so che esiste una presenza che ci guarda, ma non vado in Chiesa».