la Repubblica, 19 febbraio 2023
Dal Po al Garda, il Nord è già a secco
Per secoli, sulle Alpi e in Pianura padana, la gente ha lottato per aiutare la corsa di torrenti e fiumi verso l’Adriatico. Questo mondo di neve e di acqua, sangue che nutriva ogni terra, oggi è una lontana nostalgia. «La siccità è così profonda – dice Fabio Dosoli, barcaiolo sul Po a Ostiglia – che perfino i letti vuoti ci lasciano indifferenti. Il dramma ormai è sotterraneo e purtroppo invisibile». Un’aridità senza precedenti prosciuga sorgenti, risorgive, pozzi e bacini di Piemonte, Lombardia, Trentino e Veneto. L’ossessione non è più incanalare i flussi, ma fermare anche una goccia. Il primo febbraio senza pioggia e con temperature primaverili assedia la Food Valley italiana. Minaccia di privare le campagne di oltre il 40% della produzione nazionale, equivalente al crollo di un 2022 già in ginocchio causa siccità e caldo record: e innesca un’inedita “guerra dell’acqua” che oppone la montagna alla pianura, il cibo all’energia, le persone alle industrie, le regioni confinanti, non solo del Nordest. «Denunciare l’emergenza del cambiamento climatico – dice Ettore Prandini, presidente di Coldiretti – non ci salverà. Dobbiamo realizzare subito migliaia di invasi per raccogliere l’acqua piovana. Siamo fermi all’11%, in Spagna sfiorano già il quadruplo. Sono interventi immediatamente realizzabili: se non agiamo, presto anche nell’ex giardino d’Europa mangiare sarà un lusso e bere un’utopia».
L’epicentro della crisi, che da Monviso, Monte Rosa e Cevedale, raggiunge i delta di Adige e Po, si trova tra le province di Mantova, Verona, Rovigo, Modena, e Reggio Emilia, cuore della produzione italiana di cereali, carne, latte, ortaggi e frutta. Nessuno, qui, ricorda un mondo più secco di quello di oggi. «Manca oltre un metro e mezzo di acqua – dice Orazio Baldessari, da mezzo secolo pescatore di tinche a Lazise sul Garda – i bulbi delle barche a vela, già prima del porto, toccano il fondo. Se a Peschiera non avessero chiuso la diga sul Mincio, saremmo già sotto il livello minimo toccato nel settembre scorso. Caldo e diminuzione della profondità sconvolgono l’ambiente: scompaiono canneti e grandi pesci, distese di alghe assorbono l’ossigeno». Le rive del lago più grande del Paese si sono allargate di 16 metri, le scale dei moli e dei porti non toccano più la superficie.Alla vigilia della cruciale stagione padana delle semine, mentre in alta quota ghiaccio e inverno dovrebbero ancora regnare, numeri e orizzonti sono quelli della fine di un’estate nordafricana. Al Ponte della Becca, nel Pavese, il Po scorre 3,3 metri sotto lo zero idrometrico. Nelle ex paludi di Ostiglia, oggi un deserto, siamo sotto di 2 metri. Il riempimento del lago di Garda non arriva al 35%: il Maggiore è al 38%, il lago di Como èridotto a un quinto. L’anno scorso le piogge sono crollate del 40%, da gennaio dell’87%. Già dimezzate, sulle Alpi, le riserve dei bacini artificiali che alimentano le centrali elettriche. L’apertura delle piste da sci, grazie ai cannoni, induce la percezione di montagne innevate. «Ma la realtà – dice Andrea Crestani, direttore d ell’Associazione nazionale dei consorzi di gestione del territorio e delle acque irrigue – è che l’accumulo nivale è inferiore a quello catastrofico del 2022 e non raggiunge la metà di quello medio. Senza una primavera piena di neve, in estate alla pianura mancherà una massa impressionante d’acqua».In Lombardia e Veneto le falde non hanno reagito alle scarse precipitazioni di autunno e inverno: la maggior parte non è nemmeno misurabile perché gli idrometri non scendono più fino a trovare acqua. «La visione del Po in secca a febbraio lascia sgomenti – dice Crestani —ma a noi preoccupa l’aridità invisibile della linea delle risorgive che dalla Valle d’Aosta al Friuli Venezia Giulia segue sotterranea l’arco alpino. Nel 2022 sono mancati 300 millimetri di pioggia, pari a 35 centimetri d’acqua sull’intera superficie del Nord Italia: se nei prossimi mesi non ne cadono 1000, la prospettiva è un deficit irrecuperabile».
Il meteo, fino a marzo, annuncia sole. Per questo, tra Vercellese e Bassa Veronese, le risaie stanno rivoluzionando le coltivazioni. «Per raccolta e uso dell’acqua – dice Luca Melotti, simbolo del riso a Isola della Scala – siamo indietro di vent’anni. Fermi però, se non vogliamo vedere morire le nostre aziende, non possiamo stare. Dovremo arare meno in profondità, cambiare concimi, usare semi meno produttivi, irrigare in modo scientifico, rivoluzionare le colture preferendo il grano al mais. Siamo già in uno scenario israeliano: se però in inverno non nevica sulle Alpi e in primavera non piove sulla pianura Padana, la prospettiva di un esodo umano dal Nord va approfondita. Inutile nasconderlo, oggi l’acqua rende più soldi se è usata per energia e industrie: le necessitàpotabili, agricole e del futuro non mi pare riversino la folla in piazza».
A Venezia, causa luna e basse maree, sono in secca anche i canali. Nella laguna surriscaldata muoiono i cefali. Tra le Dolomiti, dove la poca neve si scioglie da settimane, si prospetta un’estate a secco: alpeggi e rifugi potrebbero restare chiusi, nei paesi sono già salite le autobotti. In crisi le eccellenze di latte e formaggi, di carne e frutta. «Nel Nord – dice Roberto Perotti, presidente dei geologi lombardi – manca il 45% dell’acqua e il 46% della neve. Il cuneo salino lo scorso anno ha risalito il Po per 40 km: le prospettive della prossima estate sono ben peggiori. Senza un piano di micro-invasi epocale, con bacini riservati all’energia solare, dobbiamo prepararci a un Paese irriconoscibile». Servono i miliardi del Pnrr, dieci anni di impegno e una volontà politica stabile. «Qui però – dice Damiano Valerio, coltivatore di fragole di Raldon nella Bassa Veronese – la tempesta perfetta è adesso: siccità e caldo da primato, concimi ed energia alle stelle. I fiumi in secca dicono che a rischio è la vita».