la Repubblica, 19 febbraio 2023
Nella città di Biden che arma l’artiglieria di Kiev
Quando il braccio meccanico del robot allunga la sua mano nella fornace, il cilindro di acciaio arroventato che estrae dalle fiamme ha una temperatura superiore a mille gradi Celsius. Se un operaio ci mettesse sopra la mano, la vedrebbe sparire in pochi secondi. Invece il robot lo alza come un bambino che gioca coi cubi di legno e lo infila nella pressa, dove viene forgiato in un proiettile da 155 millimetri M795, che tra qualche giorno un howitzer manovrato da un soldato ucraino lancerà sulle trincee degli invasori russi nel Donbass.
Non c’è molto da rallegrarsi a testimoniare la produzione di oggetti costruiti per ammazzare persone. Ma questa è l’immagine più letale e significativa che puoi vedere alla Scranton Army Ammunition Plant, fabbrica di munizioni con un ruolo decisivo per stabilire se un tiranno come Putin riuscirà a dettare le regole della convivenza tra i popoli e i rapporti di potere nel nostro futuro prossimo. E la risposta, a giudicare da come qui accelera la produzione, è che se punta sull’esaurimento dell’arsenale occidentale ha sbagliato ancora una volta i calcoli.
Alla fine della Seconda guerra mondiale negli Usa c’erano 86 fabbriche di artiglieria, mentre l’anno scorso erano scese a sei. Sarebbe stato da matti conservare la produzione del conflitto mondiale, o della Guerra Fredda, considerando poi che gli attentati dell’11 settembre avevano rivelato urgenze belliche e strategiche assai diverse da quelle di Verdun, Stalingrado o Normandia. La logica medievale che Putin ha applicato a Kiev però ci ha riportati indietro nel tempo, ricreando esigenze che i militari ritenevano obsolete. Così la Nato ha lanciato l’allarme per l’impoverimento dei propri arsenali, perché gli ucraini sparano circa 6.000 pezzi di artiglieria al giorno, ma prima dell’invasione gli Usa ne producevano solo 14.000 al mese.
Finora Biden ha dato a Zelensky oltre un milione di munizioni, ma non bastano. E l’epicentro di questa storia è proprio a due passi dalla casa dove è nato il presidente, lungo l’autostrada che adesso porta il suo nome. La Scranton Army Ammunition Plant è una delle 17 basi con cui il Joint Munitions Command ha prodotto un inventario di munizioni da 64 miliardi di dollari. Era stata fondata nel 1908 per costruire e riparare locomotive, quando qui era il cuore della rivoluzione industriale americana, ma nel 1953 l’esercito ha rilevato i suoi 15 acri di terreno per trasformarla in fabbrica di munizioni,oggi gestita da General Dynamics. Da allora ha forgiato 28,8 milioni di pezzi, e oggi produce 11.000 M795 al mese. Il veterano della Navy Richard Hansen, responsabile civile della Scaap, accompagnandoci dentro l’impianto spiega con orgoglio: «Sono cresciuto qui, ci passavo davanti ogni giorno andando a scuola. È la storia della nostra città». E si vede, perché molte strutture originarie sono ancora in piedi. Nel cortile stanno allineate centinaia di barre cilindriche di acciaio Timken, prodotte in Ohio. Dentro vengono tagliate nelle dimensioni dei proiettili, arroventate nella fornace, forgiate dalle presse, raffreddate, ispezionate, levigate e poi dipinte di verde. Quindi le spediscono in Iowa, dove vengono riempite con una dozzinadi chili di Tnt, facendone un’arma capace di colpire il nemico fino a 22 chilometri di distanza. Molti dei 300 operai della Scaap sono figli, o anche nipoti, di famiglie che sudano qui da generazioni. Come Jeff Ricker, che ci accoglie indossando una maglietta con su scritto “We The People”, preambolo della Costituzione: «Lavoro in questa fabbrica da 23 anni e sono orgoglioso di farlo, perché sosteniamo i guerrieri che difendono l’America». Per capire la tipologia culturale dei soggetti bisogna rifarsi alle immagini cinematografiche di Clairton, il villaggio siderurgico della Pennsylvania dove era ambientato “Il Cacciatore” di De Niro.
I dipendenti non sono autorizzati a dire che la Scaap ha accelerato la produzione per rifornire l’Ucraina, ma Hansen si concede un commento: «Quello che stiamo vedendo laggiù ci spezza il cuore. Speriamo di contribuire affinché vada tutto per il meglio». Quindi spiega: «Lavoriamo in due turni giornalieri di otto ore e mezza, per cinque giorni a settimana. Perciò c’è lo spazio per aumentare». Perché non basta, quello che fanno a Scranton. In America, insieme ad una fabbrica nella vicina Wilkes-Barre e qualche struttura privata, vengono prodotte 30.000 munizioni al mese da 155 millimetri M795, ma il Pentagono vuole portarle a 90.000. Perciò ha stanziato 17,6 miliardi di dollari, di cui 240 milioni andranno alla Scaap, 120 già in uso per modernizzare gli impianti. Quindi ha firmato un accordo con l’Imt de ll’Ontario, mentre General Dynamics sta costruendo una fabbrica automatizzata a Garland, Texas, dove per passare dalla produzione di una munizione all’altra basterà cambiare il software.
Il dilemma infatti è strategico. Le munizioni che mancano sono quelle “stupide”, come le bombe per gli obici, perché gli analisti pensavano che il loro tempo fosse passato; non quelle “intelligenti” per la guerra tecnologica del futuro, che Kiev ha ricevuto in minima parte, anche perché non possiede l’aviazione per impiegarle. Se il conflitto lo avesse combattuto la Nato sarebbe stato molto diverso, e le munizioni da 155 millimetri M795 non centrali, anche in uno scontro aperto sulle pianure ucraine. Ora il Pentagono ha già stanziato i soldi per accelerare la produzione, soddisfare le necessità di Zelensky e dimostrare a Putin che ha sbagliato ancora i conti. Poi studierà le lezioni apprese per decidere se tornare in maniera permanente alle munizioni del passato, o piegare Mosca per voltare pagina.