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 2023  febbraio 18 Sabato calendario

Orsi & tori

Quando la minaccia viene dalla dinamica Christine Lagarde c’è da temere? La presidente della Banca centrale europea non più lontano di giovedì 16 ha detto secca: «I tassi saliranno a marzo di un altro 0,50%. L’inflazione in Europa resta ancora troppo alta». E sì che non è stata una delle solite conferenze stampa di fine consiglio della Bce, ma un intervento addirittura davanti al Parlamento europeo, quindi nella massima solennità.


Come mai la ex-ministra francese ed ex presidente del Fondo monetario internazionale, donna senza veli visto quanto dichiarò partendo da Washington («con il mio compagno ho rapporti regolari e frequenti») si è lasciata andare a un annuncio di ulteriore, netto rincaro del costo del denaro? Colpa dell’inflazione ancora troppo alta, così come si è giustificata?




Veramente a gennaio l’inflazione è risultata alta, l’8,5%, includendo nel paniere energia e alimentari, ma intorno al 5,2% se si escludono i due fattori straordinari dipendenti dalla guerra in Ucraina; e in realtà, per quanto riguarda l’energia e in particolare il gas, i prezzi sono già ampiamente ridimensionati per le alternative che molti paesi europei (inclusa l’Italia) hanno trovato lontano dalla Russia.


La realtà è che la signora Lagarde non sa contenere, come sapeva fare il suo predecessore Mario Draghi in consiglio esecutivo la veemenza della rappresentante tedesca Isabel Schnabel, unica altra donna del vertice Bce con la presidente.


Non si scopre oggi che i rappresentanti della Germania sono terrorizzati ancestralmente dall’inflazione, residuo della Repubblica di Weimar che portò al nazismo con l’iperinflazione rampante. E sa bene Draghi cosa dovette fare per isolare nel comitato esecutivo il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, quando pronunciò la famosa frase, durante la più grave crisi degli anni 2000, «tutto quello che serve», prima a Londra e il giorno dopo nella riunione Bce. Weidmann in quella circostanza, nonostante la profondissima gravità della crisi, fu il solo a votare contro la decisione di Draghi di immettere sul mercato tutta la liquidità che serviva. La Schnabel non ha in patria un ruolo così importante come Weidemann, che faceva parte della segreteria di Angela Merkel oltre che presidente della Banca centrale tedesca, ma è altrettanto determinata e con il mandato inderogabile di non far crescere l’inflazione e non far rievocare gli spettri di Weimar. Quindi risulta che abbia esercitato tutta la pressione del primo paese membro della Bce, con sede a Francoforte, per spingere a un nuovo aumento di mezzo punto, quando in Usa stanno pensando di passare allo 0,25.




Ormai la Lagarde ha parlato e difficilmente tornerà indietro almeno per il mese di marzo. Proprio per questo è indispensabile che il governo italiano comprenda che il paese è il più esposto alle conseguenze di un ulteriore aumento del costo del denaro. Nell’ultimo mese, al 16 febbraio, è salito del 6,4%. Se il costo del denaro appunto salirà e la Bce continuerà a comprare sempre meno titoli di stato, nonostante la leggera crescita economica, si potrebbe creare una mistura pericolosa per il paese. È per questo che il governo non escluda interventi straordinari.


Su ItaliaOggi di ieri Pelanda rilanciava l’idea del prestito irredimibile, cioè che non prevede rimborso ma garantisce un interesse perpetuo a tasso fisso o eventualmente variabile secondo regole predeterminate. In piena crisi del debito pubblico italiano, da poco presidente della Consob, parlò e scrisse su di noi di questa possibilità il professor Paolo Savona, ma assolutamente più sul piano accademico che pratico.




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La via maestra per togliere il rischio paese, è quella del taglio del debito con la vendita attraverso fondi del debito pubblico italiano. Durante tutto il suo governo, il professor Mario Draghi ha sottolineato la sostenibilità del debito italiano in quanto il paese stava crescendo in maniera significativa e quindi il rapporto debito/pil migliorava. La situazione è assolutamente cambiata e non c’è più un governo con a capo un uomo stimato dal mondo finanziario ed economico mondiale, senza nulla togliere alla presidente Giorgia Meloni. La capo del governo e alcuni ministri godono al momento di ottima credibilità, ma non come Draghi e da allora la congiuntura è sicuramente peggiorata; per questo è necessario restare vigili e guardinghi. Una posizione assolutamente scomoda, mentre, come è noto a chi legge abitualmente queste note e il resto del giornale, sa che con lo spread al livello già toccato e probabilmente destinato a salire oltre al contemporaneo aumento automatico dei tassi, si può innescare una crisi finanziaria, che invece può essere scongiurata in partenza mostrando ai creditori, cioè al mercato, che il patrimonio pubblico trasferito agli enti locali è consistente e che una parte di esso può essere venduto a investitori italiani attraverso fondi di investimento locali che, come è stranoto, al punto da quasi vergognarmi a ripeterlo, esiste la prima banca italiana, Intesa Sanpaolo, che attraverso il suo ceo, Carlo Messina, si è dichiarata disponibile a realizzare e a distribuire quote di fondi immobiliari locali sullo stesso territorio. Non crede il governo e in special modo il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, responsabile anche del debito, che sia il caso di impegnarsi direttamente nell’operazione taglio, prima ancora, come è avvenuto in passato, che la deriva dei titoli di stato divenga pericolosa?




Se davvero il costo del denaro continuerà a salire, se il costo del servizio del debito pubblico italiano continuerà a farsi sempre più pesante, converrà proprio che il ministro Giorgetti si incontri con gli operatori che possono acquistare debiti dello stato e, soprattutto, si incontri con i banchieri di Intesa Sanpaolo, per verificare i fondi chiusi che possano comprare immobili dello stato.


Un conforto rispetto al quasi terrorismo di Lagarde, arriva per fortuna dalle parole di Fabio Panetta, il bravo ex-direttore generale di Bankitalia, che rappresenta il paese nel Comitato esecutivo della Bce. Su MF del 17 ha detto chiaramente: a marzo ci sarà la stretta di 50 punti sul costo del denaro, ma poi serve cautela. Segno che nella riunione del Comitato sta prevalendo l’opinione moderata e non oltranzista della Schnabel.


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E per l’economia italiana ci sono da Roma fatti ancora più confortanti. Dopo anni di articoli di denuncia, in maniera costante da questo giornale, del paradosso tutto italiano «secondo risparmio al mondo-mercato dei capitali quasi da terzo mondo», finalmente Roma ha battuto un colpo. «Nuove regole per il mercato - Previsto entro giugno un pacchetto-Borsa per impiegare in maniera produttiva i 1700 miliardi di risparmio italiano», Lo ha annunciato il sottosegretario all’economia Federico Freni, professore e avvocato, allievo del grande Natalino Irti, al convegno organizzato da Assonext, l’associazione degli operatori di Euronext growth presieduta da Giovanni Natali. Il precedente governo Draghi, all’interno del tesoro, aveva preparato un Libro verde per lo sviluppo del mercato borsistico. C’è voluto un altro governo e soprattutto la pressione del deputato Giulio Centemero, leghista come Freni, e del senatore Pd Antonio Misiani, per arrivare a una riunione con l’ad di Borsa italiana Fabrizio Testa e del segretario generale della Consob, Antonietta Scopelliti.




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Ovviamente si è parlato del bonus quotazione per le pmi, ma per fortuna si è andati oltre. «Personalmente credo che rendere più agevole l’accesso (e la successiva permanenza) ai mercati regolamentati costituisca una priorità in uno con l’alleggerimento degli oneri amministrativi e di compliance», ha detto a MF il sottosegretario Freni: «Così come credo sia necessario intervenire per agevolare le offerte sul mercato secondario e per modificare alcune previsioni dell’ordinamento societario…».


La presenza della brava segretaria generale della Consob è servita a sottolineare la necessità di «un approccio istituzionale più favorevole alla semplificazione normativa, all’innovazione e agli incentivi». Che per essere efficaci in un contesto di arretratezza come quella italiana, è questa la convinzione che ribadiamo, devono essere presi provvedimenti di significativa defiscalizzazione sia per chi si quota in borsa che per chi investe in Borsa. Non si può dimenticare che quando lo stato ha avuto bisogno di privatizzare non ha esitato a dare incentivi fiscali. Si sono formati milioni di azionisti e il risparmio era affluito in Borsa. Ma è stato un lampo nel buio, poiché tutto, mancando continuità di azione, si è esaurito in poco tempo. Mentre in Usa i bambini quando nascono hanno già l’iscrizione a scuola ma anche il broker per investire in Borsa (non è un paradosso), in Italia la cultura dell’investimento in azioni è a zero o quasi.




Questo dal lato degli investitori e per fortuna si è sviluppata l’industria dei gestori di patrimoni e di consulenti finanziari. Ma poi c’è l’altro fronte, quello delle società quotate e che in numero sempre maggiore escono dalla borsa. Il sottosegretario Freni ha risposto così alla domanda di MF sulla necessità di far perseverare la permanenza in borsa: «Le imprese italiane tendono troppo spesso a voler uscire dal mercato e il delisting da fenomeno fisiologico e marginale è diventato patologico», riconosce il prof. Freni. «Alcuni interventi si possono adottare per semplificare gli adempimenti e alleggerire gli oneri amministrativi. Ma anche qui serve un cambio di paradigma. Solo un mercato vivace e dinamico attira naturalmente l’ingresso di nuove società e ne favorisce la permanenza. Gli imprenditori devono quindi avere fiducia e portare in borsa le proprie eccellenze».


Parole corrette, ma il governo italiano deve porsi un problema fondamentale. Attraverso Cdp e, sia pure in chiave privata, Intesa Sanpaolo, ovvero i due azionisti del tentativo di borsa europea operato con Euronext, devono farsi sentire e imporre che tutte le borse del gruppo Euronext abbiano le medesime caratteristiche positive. Tutte le borse europee che aderiscono ad Euronext non possono essere portatori d’acqua alla borsa Euronext di Amsterdam. Se chi si quota ad Amsterdam ha vantaggi enormi di carattere fiscale e di diritto commerciale ed Amsterdam è legittimamente nella Ue, per cui o si imita Amsterdam o la borsa di Milano, che si chiami Euronext o qualcos’altro, sarà sempre grande come un catino.


Questo governo dice che vuole equità per l’Italia. Ecco un’occasione straordinaria, offrire alle società non solo italiane le stesse condizioni che offre alle la borsa della capitale olandese. È quasi autolesionismo aderire a Euronext e all’interno del network avere chi opera con trattamenti fiscali e commerciali incomparabili. Non sarà un caso che la Borsa di Francoforte non ci ha pensato neppure un attimo a tenersi ben lontana da Euronext. Chi guida Euronext di Milano con competenza e passione come la presidente, Claudia Parzani, e l’amministratore delegato Testa, sanno benissimo tutto ciò, ma deve essere il governo italiano ad operare per un equo trattamento e non solo per le borse.


Si potrebbe rispondere, è la Ue che non è vera Ue. Vero, verissimo, ma ai tempi di OpenAI non è più tollerabile subire tali discriminazioni e avere i cosiddetti paesi frugali (frugali un corno, casomai sono fregoni) che fanno il bello e cattivo tempo non solo al proprio interno ma anche nelle istituzioni come Euronext, che dovrebbe essere almeno bilanciata per fisco e diritto commerciale in tutti i paesi dove esiste.


Una bella battaglia per la presidente Meloni e il ministro Giorgetti, ma una battaglia essenziale se non si vuole che il grande risparmio italiano serva a finanziare lo sviluppo degli altri paesi e l’Italia debba fare i conti con un debito pubblico talmente grande da farla essere sempre sotto scacco dei frugali e destinata a vivere pericolosamente con lo spread più alto d’Europa. Ma non si chiama Unione Europea? Unione non vuol dire discriminazione fiscale e commerciale, pur sapendo che ogni paese ha una storia che non si può cancellare dalla sera alla mattina. Ma almeno correggere anno dopo anno, sì.