il Giornale, 18 febbraio 2023
I talebani vietano i preservativi
Coperte dal burqa, obbligatorio in pubblico, relegate in casa, costrette a uscire solamente con un guardiano maschio della famiglia, il muharamm, espulse dai luoghi di lavoro, messe al bando nelle scuole e nelle università, adesso alle donne afghane tocca anche subire l’ultimo schiaffo, un’altra imposizione sul loro destino e sul loro corpo da parte dei talebani tornati al potere in Afghanistan nell’agosto 2021. Si tratta del divieto di vendita della pillola contraccettiva, una realtà nelle farmacie di almeno due delle principali città del Paese, Kabul e Mazar-i-sharif, la capitale e la città di circa un milione di abitanti nel nord del Paese. Lo confermano testimonianze circostanziate raccolte dal quotidiano britannico The Guardian, che riferisce di una campagna porta a porta da parte dei talebani, per minacciare ostetriche e farmacisti, imponendo lo stop alla vendita di contraccettivi e dispositivi per il controllo delle nascite. I combattenti che pattugliano le strade afghane – raccontano testimoni – definiscono i contraccettivi e la pianificazione familiare «un’agenda occidentale». «Sono venuti due volte nel mio negozio con le pistole e mi hanno minacciato di non tenere pillole contraccettive in vendita – ha raccontato il proprietario di un’attività commerciale della capitale – Controllano regolarmente tutte le farmacie di Kabul e abbiamo smesso di venderle». Circostanza confermata da un altro farmacista: «Articoli come pillole anticoncezionali e iniezioni di Depo-Provera (uno dei più controversi anticoncezionali in circolazione, ndr) non possono essere tenuti in farmacia dall’inizio di questo mese e abbiamo troppa paura di vendere le scorte esistenti». Un divieto avvalorato anche dal racconto di un’ostetrica, figura che in Afghanistan spesso si sovrappone a quella del ginecologo in tema di contenimento delle nascite: «Non ti è permesso uscire e promuovere il concetto occidentale di controllo della popolazione, viene considerato un lavoro non necessario». Per le donne afghane rischia di essere la condanna definitiva a una vita di reclusione e miseria, in un Paese dove il tasso di mortalità materna è tra i più alti al mondo: una donna su 14 muore per problemi legati alla gravidanza. Sono state 638 le vittime ogni 100mila nascite nel 2021 e la previsione è che i numeri raddoppieranno entro due anni, salendo a 963 mamme morte per 100mila bimbi nati nel 2025. Ai problemi igienico-sanitari, si aggiungono tra l’altro quelli legati all’alimentazione. Secondo l’ultimo rapporto di Medici senza frontiere, il 95% della popolazione afghana è sull’orlo della fame, nella peggiore crisi mai registrata nel Paese. «A volte le madri sono così malnutrite che non riescono ad allattare i loro figli. Le vediamo mettere tè nelle bottiglie per darlo ai neonati di soli sette o otto giorni, una scelta disperata e molto pericolosa», racconta Hadia, membro dello staff medico di Msf nell’ospedale di Herat. «È finita l’ultima speranza di pianificare la mia vita», spiega affranta Zainab, una giovane mamma con una bimba di 18 mesi. «Contraccezione e pianificazione familiare sono diritti umani», avverte l’attivista afghana Shabnam Nasimi. Come se non bastasse, ad aggravare la situazione si è aggiunto il decreto, emanato dai talebani due mesi fa, che vieta alle donne afgane di lavorare per organizzazioni non governative. Secondo Save the Children, a causa del provvedimento, moltissime afghane e i loro bambini sono tagliati fuori dagli aiuti salvavita, mentre fronteggiano l’inverno più rigido degli ultimi dieci anni. Un problema enorme per vedove e single, che non possono accedere agli aiuti in assenza di un familiare maschio che li ritiri e hanno problemi ad avvicinare le squadre umanitarie, formate da soli uomini, ai quali, secondo le tradizioni locali e le imposizioni dei talebani, è vietato anche solo parlare. Condannate all’isolamento, alla tracotanza degli islamisti e alla fame.