Avvenire, 18 febbraio 2023
Ancora sul terzo fratello Grimm
Il genere letterario della fiaba, del Märchen, in Germania ha una lunga storia, nobile e insieme popolare, in chiave anti-illuministica. Infatti alla fine del Settecento, si assiste all’insorgere di un movimento contro-illuminista che ha a Königsberg il suo punto di forza con uno stranissimo intellettuale, Johann Georg Hamann, chiamato da Goethe, che molto lo ammirava, il “Mago del Nord”, ostile all’illuminismo, ma nemmeno riducibile alla mera matrice luterano-pietista. Herder, che era stato suo discepolo, quando abbandonò la città, giunse a Strasburgo, dove incontrò il giovane Goethe cui raccontò di queste prospettive radicalmente nuove. Su queste basi si formò lo Sturm und Drang. Da allora parte la rivalutazione della letteratura popolare, con la scelta, dapprima, dei Volkslieder, dei canti popolari, e successivamente delle favole soprattutto con i romantici, così nostalgicamente sensibili alle tradizioni minacciate di scomparire. Furono loro a impegnarsi a costituire una “scienza popolare”, per cui fu coniato un fortunato neologismo: il folklore. Pensare alle fiabe vuol dire rievocare i fratelli Grimm: Ludwig e Wilhelm, esponenti illustri del movimento romantico, che con Le fiabe del focolare (1812-1822) hanno eretto un monumento imperituro al genere. Ma ora scopriamo che i fratelli Grimm erano nove, e che anzi il quinto fratello, quello sfortunato, si occupò pure lui di fiabe. Era Ferdinand (1788-1845), ma era la pecora nera della famiglia. In realtà si dette da fare collaborando per circa vent’anni con l’editore Reimer, quello che pubblicò i romantici, da Novalis a Hoffmann, da Fichte all’opera completa di Schleiermacher. Ma nel 1834 (forse per riduzione del personale) venne licenziato e dovette appoggiarsi ai celebri fratelli, che lo sostennero finanziariamente, senza soverchio entusiasmo, anche perché nel Natale 1810 era accaduta una rottura all’interno della famiglia. La tesi più accreditata è che Ferdinand avesse fatto outing. E non era l’epoca in cui tali ammissioni potessero essere accettate soprattutto all’interno della borghesia di rigida tradizione protestante (il bisnonno e il nonno erano stati pastori). Tra l’altro Ludwig e Wilhelm, oltre a essere dei severi accademici, erano anche –torna a loro onore- dei convinti liberali, oppositori dell’autoritarismo assolutista di Ernesto Augusto I, re dell’Hannover. Nel 1837 vennero espulsi con altri cinque colleghi, diventati famosi come “i sette di Gottinga”, in un paese non certo celebre per queste posizioni contro l’autorità, così la loro posizione si era fatta ancora più delicata e la presenza del fratello sbandato non aiutava. Capita l’antifona, quell’anno Ferdinand se ne andò a Wolfenbüttel, un paesino che ospita la Bibliotheca Augusta, che è ancor oggi una delle principali istituzioni culturali tedesche.
Il suo lavoro si concretizzò in un originale volume di Leggende popolari tedesche, che aspirava a rappresentare le varie regioni, infatti, nelle intenzioni dell’autore, doveva costituire «una guida per chi ama viaggiare nelle contrade della Germania». Purtroppo il libro, come i successivi, non ebbero alcuna risonanza editoriale e l’autore visse gli ultimi anni in estrema miseria, sostenuto, da qualche saltuario contributo del fratello maggiore Jacob. Morì in miseria a 56 anni; solo Jacob accorse al suo capezzale per l’estremo saluto. Ferdinand era certamente sbandato, ma geniale, nonché autore coltissimo di numerose raccolte di fiabe e leggende, delicate, intriganti, degne delle Fiabe del focolare dei celebri fratelli. Ora l’infaticabile lavoro del traduttore-editore Marco Federici Solari ha curato una preziosa scelta di fiabe, La montagna dei gatti (L’Orma, pagine 144, euro 18.00), rappresentativa dell’attività di questo fratello “sconosciuto” (così viene ancora indicato nei repertori specialistici tedeschi), che merita di essere conosciuto e rivalutato per la sua straordinaria sensibilità e capacità narrativa