il Giornale, 18 febbraio 2023
Diane Johnson e Kubrick
Diane Johnson ha raccontato che, quando scriveva la sceneggiatura di Shining con Stanley Kubrick, il regista abitava fuori Londra, mentre lei aveva deciso di sistemarsi in città. Uno stratagemma, che le avevano suggerito, per non lasciarsi schiacciare dalla convivenza con lui... Ogni giorno un autista – di nome Emilio – la andava a prendere, la portava a casa di Kubrick, dove i due lavoravano insieme per circa tre ore e poi, nel pomeriggio, continuava da sola; dopo la cena e un film con la famiglia Kubrick, Emilio la riaccompagnava a Londra. In questa calma routine è nato uno dei film più terrificanti della storia del cinema; ed è nato, oltretutto, dalla collaborazione con una scrittrice che con l’orrore ha sempre avuto poco a che fare. All’epoca, però, Diane Johnson aveva pubblicato The Shadow Knows (era il 1974, ed era il suo quarto romanzo, perché aveva iniziato a scrivere all’università), una storia fra lo psicologico e il noir che mostrava come la nostra mente possa «deragliare» quando ci sentiamo minacciati... Da allora, Diane Johnson, classe 1934, ha scritto altri otto romanzi, saggi, racconti e un memoir, è stata due volte finalista al National Book Award e al Pulitzer, si è sposata due volte ed è diventata una pendolare tra San Francisco e Parigi. Non male, per una ragazzina nata e cresciuta a Moline, in Illinois, dove nessuno dei suoi famigliari o conoscenti si era mai mosso oltre il raggio di pochi chilometri. Oggi Diane Johnson, che all’età di 87 anni ha scritto un altro romanzo, Lorna Mott torna a casa (uscito in Italia per Atlantide nel 2022), è considerata una delle grandi scrittrici americane ed è una voce ancora anomala. Lo dimostra benissimo Le Mariage, considerato il suo capolavoro con Persian Nights (ambientato nell’Iran della rivoluzione). Pubblicato ora da Atlantide (pagg. 424, euro 20), risale al 2000 ed è il secondo volume di una trilogia, composta anche da Le Divorce e L’Affaire, dedicata agli americani «espatriati» in Francia. Insomma, i connazionali di Johnson. E lei stessa, americana a Parigi, scrittrice immersa fra relazioni non pericolose ma, certo, con moltissimi dettagli da osservare sotto la lente di ingrandimento. Ecco, non è tanto il singolo a essere protagonista dei suoi romanzi, quanto il singolo in una rete, l’individuo nella società in cui vive, quella ristretta della sua cerchia di parenti e amici e quella, più ampia, di conoscenze dirette e indirette. Qualche volta, questa cerchia si allarga fino a comprendere le istituzioni: la polizia, l’Fbi, il governo francese, gli ambasciatori, la magistratura... Anche in Le Mariage, infatti, non manca un tocco di mistero: l’omicidio, brutale e apparentemente inspiegabile, di un antiquario parigino, che sembra rimandare a un traffico di manoscritti dell’Apocalisse, rubati a ridosso della fine del Millennio forse da qualche setta, forse da qualche collezionista. Intorno al caso ruotano due mariage (più un terzo, diciamo così, tangenziale) e una liaison: il primo è quello, che deve avvenire, tra la francesissima Anne-Sophie, figlia della scrittrice Estelle (un personaggio in cui Diane Johnson riversa molta della sua autoironia, almeno tanta quanto quella riservata agli americani all’estero...) e l’americano Tim, giornalista di ricchissima famiglia che scrive per una rivista progressista e per una conservatrice, senza farsene cruccio; il secondo è quello fra la bellissima Clara, ex attrice, trasferitasi dall’Oregon alle porte di Parigi per abitare in un castello che era stato, addirittura, della leggendaria Madame du Barry, con il marito regista, il famoso quanto insopportabile Serge; la liaison è quella fra Clara e il vicino di casa, l’impeccabile Antoine (quello con sua moglie è il terzo mariage, che rimane un po’ adombrato dall’adulterio...). Ma ci sono molte altre relazioni, vere o agognate: quella fra Delia e Gabriel, due americani che sembrano invischiati nell’omicidio, e che chiedono aiuto a Clara; quella fra Delia e Serge; quella fra Tim e Clara; infine, quella fra Gabriel e il manoscritto scomparso. Una commedia di costume perfetta, in cui Diane Johnson non rinuncia mai al contenuto, nonostante l’apparente leggerezza e lo sguardo ironico su chi la circonda: così, tra un abito da sposa di Ines de la Fressange, boiseries e ouefs meurette, ci parla di armi, violenza, ambientalismo, sopraffazione, indipendenza delle donne, ingiustizia, potere del denaro, superficialità dei rapporti, fama, credenze ridicole, fiducia, politica estera americana, incomunicabilità fra i sessi e le culture, equivoci che portano a matrimoni, sensi di colpa, goffi tentativi di essere ciò che non siamo (come quando Anne-Sophie legge Sexus di Henry Miller per avere qualche buona frase erotica in inglese da sussurrare a Tim). Insomma ci parla di tutto, senza moralismi, femminismi, attivismi, ideologismi o altri ismi di sorta. E, in questo, ci fa addirittura divertire. Se non è una anomalia... Un Mariage così è una vera festa.