il Fatto Quotidiano, 17 febbraio 2023
L’ultimo libro di Barbujani
Grazie a La zattera della Medusa (1819) di Théodore Géricault – in cui un marinaio nero di spalle, posto nel punto più alto della raffigurazione, agita il fazzoletto dell’ultima speranza collettiva –, a Il mendicante moro (1730) del Pitocchetto – dove un elemosinante di colore vaga in un paesaggio desolato – e, ancora prima, grazie al Ritratto di Laura Dianti (1522-23) di Tiziano – che raffigura la nobildonna ferrarese in compagnia di un paggetto africano –, ebbene, grazie alla rappresentazione artistica che li ha visti esordire come schiavi, paggi, scudieri, siamo stati abituati a considerare la storia degli afrodiscendenti in Europa come un racconto marginale, un’ombra sullo sfondo di una narrazione principale, la nostra, quella dei bianchi. Ebbene, non è la verità.
Grazie al lavoro di archeologi, paleontologi e genetisti – e con le capacità acquisite di leggere a fondo il Dna – si è riusciti ad avere idea non solo delle migrazioni, dei processi evolutivi e di adattamento che hanno fatto di noi quello che siamo, ma anche dell’aspetto e le sembianze dei nostri antenati, dei nostri lontani parenti. Lo rivela il genetista Guido Barbujani nell’assai documentato e godibile saggio Come eravamo , edito da Laterza.
Tralasciando la contemporaneità di una rivelazione del genere e di come una certa volgarità del cuore abbia trasformato gli ospiti in nemici – in effetti, alla radice di queste due parole, la differenza è poca: Hostis in latino è il nemico, Hospes, l’ospite –, la tesi di Barbujani è chiara. Grazie alla possibilità di dedurre dal Dna il colore della pelle, degli occhi e dei capelli, il mito originale della pelle chiara in Europa è fasullo.
Il “viaggio” inizia circa tre milioni e mezzo di anni fa con l’australopiteco più divino al mondo, Lucy – della famiglia degli Australopithecus afarensis, i primi di cui si ha la certezza che camminassero su due piedi – e prosegue con Turkana Boy, l’Homo ergaster, il primo dall’aspetto più umanoide e meno scimmiesco. Lui, come pure Lucy, sono stati ritrovati sul suolo africano e sono scuri di pelle. Come scuri di pelle sono anche gli antichi europei, cioè ritrovati nell’emisfero a nord dell’Equatore: l’Homo Georgicus (un milione e 800 anni fa), il primo antenato di cui abbiamo evidenze di migrazione, l’Homo Heidelbergensis (350 mila anni fa) e quello di neanderthalensis (150 mila anni fa), fino alle più variazioni dell’Homo Sapiens. Ebbene, proprio quest’ultimo grazie a un importante processo migratorio “negli ultimi 100 mila anni da specie africana – argomenta Barbujani – diventa una specie planetaria”.
Quindi, se proprio volessimo rispondere alla domanda su chi furono i primi europei – quesito che a cavallo tra Settecento e Ottocento, grazie ai progressi della scienza, l’uomo s’illuse di poter evadere –, va chiarito che erano scuri di pelle e afrodiscendenti. Tutto così fino a 10 mila anni fa. Cosa è successo, poi? Come si è giunti fino a noi? Ha deciso tutto la genetica.
Le pelli chiare hanno avuto origine più di 15 mila anni fa in Asia, nel Caucaso. E circa 10 mila anni fa – all’altezza di quella rivoluzione che gli archeologi definiscono Neolitico – c’è stata un’altra grande migrazione, stavolta dal Medio Oriente verso l’Europa. Sono stati questi migranti a portare qui le pelli chiare e gli occhi scuri, che si sono imposti per due fattori, uno socio-economico e l’altro genetico. Da un lato, infatti, essendo stanziali e agricoltori, i nostri antenati hanno generato le prime strutture sociali stabili – i cacciatori di pelle scura, invece, erano seminomadi e raccolti in piccole tribù –, il che ha favorito un grande incremento di produzione di cibo e dunque di popolazione. Diventarono tantissimi. E poi, la rivoluzione neolitica si è distinta per un profondo cambiamento dei geni e del Dna degli europei. Tutto è dovuto al sole. Così come le pelli scure contrastano meglio le forti radiazioni solari che vi sono vicino all’Equatore che abbassano il livello, tra gli altri, della vitamina B9, necessaria per produrre Dna e Rna; allo stesso modo le pelli chiare si dimostrarono migliori per convertire il poco sole su suolo europeo in vitamina D, necessaria per lo sviluppo naturale delle ossa. Siamo tutti, quindi, il risultato di un melting-pot: siamo tutti migranti e meticci, altro che europei doc.