Il Messaggero, 17 febbraio 2023
Intervista a Federico Veratti
Linee morbide. Tessuti preziosi. Tagli studiati per seguire ed enfatizzare il momento. C’è l’influenza della moda e tutta l’esperienza della danza nei costumi del balletto Notre-Dame de Paris, nuova produzione del Balletto di Milano firmata dal coreografo Stéphen Delattre, che, dopo aver conquistato La Capitale, dove è appena stata in scena al Teatro Olimpico per la stagione dell’Accademia Filarmonica Romana, oggi è a Lovere (Bergamo) e domani sarà a Ferrara. Autore dei costumi, Federico Veratti. Nato nel 1989 a Mirandola, in provincia di Modena, Veratti si è accostato al mondo dei costumi, passando dal palco: già primo ballerino del Balletto di Milano, oggi è il costumista della Compagnia e non trascura esperienze nella moda.
Quando ha scoperto questa passione?
«Penso di averla sempre avuta. Già da bambino, amavo giocare con i tessuti. La nonna di una mia amica era titolare di un ricamificio: quando eravamo piccoli ci divertivamo con scampoli di tessuto, con i quali creavamo mini-sfilate. Anche mia mamma era nel settore, quindi molte cose le ho imparate guardando. Le prime creazioni le ho fatte al liceo. Poi, nel tempo, quando ero già divenuto un ballerino, ho realizzato i costumi per vari balletti».
Se la passione era la moda, come mai si è dedicato alla danza?
«Ho iniziato a studiare danza a nove anni quasi per caso, ero portato. Cresciuto, mi sono trasferito a Milano ed è diventata la mia professione, ma la moda è rimasta la vera vocazione e l’ho alimentata, cercando di affiancare costumisti esperti per apprendere il più possibile. Sono autodidatta. Questo per me è un mestiere che si impara davvero soltanto facendolo. Dopo aver realizzato i costumi di alcune opere, ho deciso di dedicarmi totalmente alla professione. Nel 2016, ho concluso il mio percorso da ballerino e ho aperto a Rho un atelier per costumi teatrali e sartoria su misura».
Come mai questa duplice visione?
«La pandemia ha fermato il teatro e i capi su misura stanno tornando di moda. Oggi, inaspettatamente, sono ricercati anche dai giovani, già dai 25 anni, sia ragazzi, sia ragazze. Proprio nell’età in cui si pensa che, anche per questioni economiche, si guardi al fast fashion, in realtà si sta affermando il trend del capo fatto ad hoc, dalla camicia al cappotto».
Il capo più originale che le è stato richiesto?
«Un abito da sposa nero: l’ho creato in tessuto jacquard, con linee anni Cinquanta».
Il primo balletto per cui ha realizzato i costumi?
«Pierino e il lupo. Ho fatto un grande lavoro di ricerca, guardando alla letteratura, con le sue illustrazioni, ma anche a libretti e vecchi allestimenti. Bisogna conoscere e studiare ciò che c’è stato prima per poter dare una visione personale».
Dal teatro alla tv.
«Ho lavorato ai costumi per la trasmissione Star in the Star, condotta da Ilary Blasi. Tra le varie creazioni, anche un paio di abiti nello stile di Lady Gaga. Il balletto però è la prima passione: non ci sono parole e quindi l’abito ha una funzione narrativa. Crea il personaggio».
Adesso, sotto i riflettori ci sono i costumi di “Notre-Dame de Paris”, come li ha creati?
«I costumi per un balletto vanno progettati partendo dalle esigenze dei danzatori. Ci sono costumisti molto bravi che però non hanno mai lavorato per la danza e realizzano creazioni bellissime ma scomode. La mia esperienza in scena mi permette di rispondere alle esigenze degli interpreti. Per questo lavoro, ho seguito due ispirazioni differenti. Ho guardato alle illustrazioni del romanzo, ma, per il corpo di ballo, ho creato costumi ispirati allo stile di Capucci, con gonne che sembrano quasi formate da cravatte».
La moda, dunque, è una delle sue fonti d’ispirazione?
«Sì. Ho sempre cercato di portarla in scena. D’altronde, anche grandi stilisti hanno creato costumi per il balletto. Penso a Versace e Missoni, che considero maestri in questo ambito. La differenza la fanno sicuramente i tessuti che devono essere leggeri per enfatizzare i movimenti. Valentino, nelle ultime collezioni, ha realizzato capi che sarebbero stati perfetti per la danza, tra chiffon, sete e plissettature».
Altri stilisti che apprezza?
«Armani, Ferré, Alberta Ferretti, Krizia. Mi sono ispirato a Coco Chanel, per Lo schiaccianoci, che ho ambientato negli anni Venti del Novecento, e ad Alexander McQueen, per giochi di geometrie, in oro e argento, per Romeo e Giulietta».
La moda la tenta?
«Da qualche mese, sono prototipista per il pret-à-porter, cioè creo prototipi per le sfilate. Diventare stilista, però, non è la mia vera ambizione. Il lavoro che mi affascina è quello del sarto, che era alla base del made in Italy. Oggi, perlopiù, dalle nostre scuole di moda escono designer, si è persa la cultura dell’artigianalità, del saper fare. Continuando così, rischiamo un domani in cui dal nostro Paese arriveranno solo direttori creativi per collezioni confezionate chissà dove».