il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2023
«Dalla Chiesa ucciso dai Br». Quando gli esperti insegnano male
Fermateli, per favore. Fermateli. È un appello che rivolgo a presidi e professori di ogni ordine e grado. Fermate gli esperti taroccati. Quelli della legalità e dell’antimafia in particolare. Ce ne sono sempre di più in giro. Perché la domanda, e questo è un buon segno, è sempre più ampia. Generazioni di insegnanti hanno fatto i salti mortali per portare lo studio delle mafie dentro la scuola e non fare crescere gli allievi nella beata ignoranza di tanti genitori. Così però hanno chiamato esperti di ogni tipo, anche se alcune ricerche dimostrano che l’effetto più profondo è ottenuto dall’insegnante che forma e coinvolge direttamente la classe, non dagli ospiti di turno. Ecco dunque il problema: l’esperto che arriva è spesso un orecchiante. Brava persona. Ma orecchiante. Che si è convinto nel tempo che basti dire all’inizio con tono grave “Ragazzi, la mafia non è più quella di una volta”, e poi aggiungere “non è più quella con la coppola e la lupara”, per potersi annoverare di diritto tra i bravi formatori. Se poi aggiunge “Oggi la mafia veste in doppio petto”, non ne parliamo. Mentre l’apoteosi si registra quando ammonisce i virgulti seduti davanti a lui che “come diceva Falcone, bisogna seguire il denaro, follow the money”.
Sono molte le baggianate che centinaia di formatori, che paiono a volte usciti da un medesimo master, raccontano ai ragazzi. Autorizzati a ciò anche dai criteri con cui vengono pescati e legittimati. Magari perché “giornalisti” (se non lo sanno loro che ne scrivono…), perché architetti (è uno che sta nei cantieri…), consiglieri comunali (ha fatto recentemente un’interrogazione…). Addirittura – come ho sentito dire – perché “entrato in magistratura ai tempi di Falcone”. O ex ufficiale dei carabinieri. Nessuno di questi attributi garantisce nulla, ovviamente, come non lo garantirebbe “sociologo” o “professore universitario”. O addirittura leader di una associazione impegnata nell’antimafia o sulla legalità. E invece… e invece è stato così che l’altro giorno in un liceo della provincia di Monza-Brianza, proprio un signore titolato a formare gli studenti in quanto presidente di una associazione impegnata nella difesa della legalità, ha raccontato alla platea che il generale Carlo Alberto dalla Chiesa era stato ucciso dalle Brigate Rosse, cosa che mi è capitato di sentire solo una volta, anni fa, nel peggior telegiornale della storia (nel giorno della ricorrenza del delitto, fra l’altro…). Per fortuna c’era sul posto un mio laureato pronto a correggere. Ma la cosa ha una sua enormità. E fa riflettere. Perché si parla di un protagonista della recente storia nazionale di cui un esperto di legalità dovrebbe sapere tutto, a prescindere dalla recentissima fiction Rai, o dalla reiterata evocazione del suo “metodo” in occasione della cattura di Messina Denaro. Mi domando: forse che una scuola affiderebbe mai un corso di geografia a qualcuno che “ha viaggiato molto” perché racconti che Londra è la capitale del Belgio o che Vaduz è una provincia del Trentino? Come mai cose impensabili in discipline canoniche diventano pensabili in appuntamenti formativi sulla mafia e sulla legalità? Perché le scuole sono di bocca così buona (e sciatta) in questi frangenti? Così si spiega, almeno in parte, perché nonostante decenni di educazione alla legalità il Paese sia ancora altamente dis-educato. Non occorrono studiosi di chiara fama in cattedra. Oggi anche uno studente che ha seguito buoni corsi universitari sa fare lezioni semplici e senza strafalcioni. Ma bisogna darsi da fare. Sapete perché ho sentito l’urgenza di questo appello? Perché il 21 marzo si terrà a Milano la giornata nazionale della memoria e dell’impegno contro la mafia. Ed è verosimile che in tutta Italia centinaia di scuole cercheranno di prepararvisi coscienziosamente reclutando ciascuna i propri formatori. Ecco: per favore, che ognuno ricordi, qui a maggior proposito, Giovanni Falcone: se non la conosciamo (la mafia) non la batteremo mai.