il Fatto Quotidiano, 16 febbraio 2023
Un manifesto contro la guerra
La propaganda di guerra nella comunicazione mainstream ha raggiunto il suo parossismo al Festival di Sanremo con l’invito di Zelensky. Un appello alla mobilitazione proveniente da intellettuali rappresentativi di sensibilità politiche assai diverse, da Moni Ovadia a Franco Cardini, sottoscritto da oltre 100.000 cittadini ha generato una pacifica e variopinta manifestazione a Sanremo. Si chiedeva l’immediata cessazione del trasferimento di armi e un’informazione più seria sul conflitto. Diversi sondaggi sembrano confermare che la posizione del governo e del Pd circa l’invio di armi all’Ucraina sia minoritaria.
È molto probabile che la maggioranza del popolo italiano sia contrario a una operazione che ripudia l’art. 11 della Costituzione piuttosto che la guerra. I cittadini sarebbero ancor più contrari se sapessero a cosa devono rinunciare per dar soldi al complesso militare-industriale. Il Def 2022, a firma Meloni-Giorgetti, prevede un aumento del budget della Difesa di 12 miliardi nel 2023, e poi di altri due nel 2024, per adeguarci alla richiesta Nato di investire nel settore almeno il 2% del Pil. Al contrario, lo stesso Documento di Economia e Finanza indica che la spesa sanitaria nel 2023 scenderà di oltre 2 miliardi e di altri 2 miliardi nel 2024. Gli Italiani, certamente saprebbero correlare questi dati. È banale osservare che le crescenti spese militari nuocciono gravemente alla vita, non soltanto di quanti, ucraini e russi, sono vittimizzati da questi armamenti, ma anche di chi sta in Italia, ritrovandosi un settore del welfare sempre più indebolito a vantaggio di quello del warfare.
Quando lo iato (presunto) fra la volontà del ceto politico e il popolo rappresentato è grave su terreni di questa importanza, non resta che una verifica di democrazia diretta, che il nostro sistema affida al complesso processo dell’art. 75 della Costituzione. Il referendum abrogativo può essere efficace quando racchiude una volontà politica popolare semplice e chiara, che la giurisprudenza costituzionale, dopo i referendum sull’acqua del 2011, ha dichiarato sovraordinata rispetto a quella espressa dal Parlamento (sentenza 199/2012). A questo fine, come già avvenne nel 2011, un gruppo di giuristi ha redatto due quesiti che dovrebbero essere in grado di collegare la tematica del disarmo a quella della sanità, per far decidere i cittadini, finalmente liberandoli da strategie propagandistiche divisive, su due grandi emergenze in corso: la gestione sanitaria e la guerra. Il quesito sulla guerra consente di abrogare le deroghe introdotte con decreti legge convertiti (L. 8/23) dai governi Draghi e Meloni al divieto generale di trasferimento di armi a paesi belligeranti, contenuto nella legge organica 185/ 1990. Esso va ripristinato votando Sì, prima che l’eccezione diventi la regola. Il secondo quesito della campagna, che correla i risparmi militari al settore sanitario, riguarda un tema chiave del neoliberismo (contro cui già si era pronunciato il popolo italiano nel 2011, ottenendone in reazione il governo Monti). Ai sensi della prima riforma neoliberale del Servizio Sanitario Nazionale della l. 502/92, al tavolo per l’annua programmazione sulle priorità di spesa e gli indirizzi generali, non partecipano solo i rappresentanti delle istituzioni pubbliche, ma anche i privati. Essi hanno perciò ufficialmente voce in capitolo nella scelta delle priorità di investimento di quel quasi 7% del Pil investito nella nostra sanità. Non è un caso che a soffrire siano terapie intensive e medicina di prossimità, ambiti in cui i margini di profitto privato sono molto sottili rispetto ad altri settori convenzionati. Votando Sì si elimina questo palese conflitto di interessi. Il cammino sarà lungo (si potrebbe votare nella primavera del 2024), ma questa proposta sanremese cerca di aprire un dibattito democratico capace di incidere su due tematiche che hanno diviso ideologicamente, ma potrebbero mostrare invece che su temi concreti esiste grande unità nel buon senso.