la Repubblica, 16 febbraio 2023
Il mistero della sorgente del Nilo
Il dio delle piene era Hapy, dispensatore di fertilità. Nell’ Inno al Nilo viene adorato perché regala pesci, uccelli acquatici e limo miracoloso che fa crescere il grano. A Kom Ombo, tra Luxor e Assuan, c’è un tempio dedicato all’unione tra il fiume e la terra. Hapy vi è raffigurato vestito da pescatore, insieme al temibile Sodek, con la testa di coccodrillo, l’altra divinità delle acque. Gli Egizi non conoscevano le sorgenti del Nilo, e neanche sapevano cosa provocasse la piena estiva, quando tutti gli altri fiumi erano asciutti. Temevano solo che popoli nemici potessero deviarne il corso più a monte. E per dissuaderli, confidavano nei loro temibilissimi dèi.
Fu Erodoto, nelle Storie,a porre in termini razionali sia la questione delle grandi piene del fiume che quella delle sue sorgenti, attingendo da altri sapienti greci. Per alcuni di essi le inondazioni estive erano dovute ai venti Etesi; per altri dalle maree dell’oceano primordiale, da dove sgorgava il fiume; per altri ancora allo scioglimento delle nevi sui monti che attraversava. Ma Erodoto non era convinto da queste tesi, che giudicava troppo poetiche. Tra le tre, quella dei venti Etesi gli pareva la più plausibile, ma non capiva il perché lo stesso fenomeno non venisse osservato negli altri fiumi... Anche le sorgenti del Nilo gli parvero un enigma. I sacerdoti egizi gli dissero di cercare al di là delle cataratte, perché secondo loro il fiume nasceva dal deserto infuocato che si estendeva più a sud. Ma giunto all’isola Elefantina, di fronte ad Assuan, Erodoto decise di interrompere le ricerche poiché l’impresa gli pareva al di sopra delle sue possibilità. Forse il fiume nasceva in Etiopia, o in India, o nella misteriosa terra di Punt. Luoghi comunque al confine del mito, sui quali non c’erano notizie certe o verificabili. Neanche gli esploratori di Nerone riuscirono a trovare ilcaput Nili,alimentando un mistero destinato a durare ancora per molti secoli. Così, nell’alto Medioevo, furono l’Atlante marocchino, il bacino del Ciad e quello del Niger a essere indicati di volta in volta come possibili sorgenti. E solo dopo il Mille l’attenzione fu rivolta nuovamente verso il Corno d’Africa. A un certo punto infatti, nelle corti europee si sparse la voce che un monarca potentissimo, il Prete Gianni, fosse a capo di un immenso regno cristiano oltre le cataratte, sull’altopiano etiopico; e che il sultano del Cairo, sotto ricatto, fosse costretto a versargli tributi annuali pur di scongiurare sbarramenti o deviazioni del fiume.
Ai cartografi europei piaceva favoleggiare sull’Etiopia a colpi di china olandese. Già il mito greco ne aveva fatto una specie di Eden. E il regno del Prete Gianni, autore di una lettera leggendaria con cui proponeva all’imperatore d’Oriente un’alleanza contro l’Islam, era l’ennesima variazione sul tema. Anche gli etiopici vivevano nel mito. Per ilKebra Nagast, il loro testo fondativo, la dinastia del Leone di Giuda nasceva a Gerusalemme, essendo Menelik I figlio di Salomone e della regina di Saba. Quest’ultima proveniva da Axum. E le pietre preziose di cui si legge nel testo biblico non erano altro che un assaggio della sua splendida reggia. Solo in epoca moderna divenne chiaro che l’Etiopia era tutt’altro che ricca o paradisiaca. Di certo era magnifica, con Madre Natura che vi regnava incontrastata tra altopiani, foreste, savane e deserti senza fine. Ma i suoi popoli vivevano di stenti, «dimentichi del mondo che li aveva dimenticati». I vari negus, dopo Menelik I, avevano continuato a trattarli come servi della gleba, incluso l’ultimo della serie, Hailé Selassié. E Menghistu, che lo rovesciò con un colpo di stato, riuscì persino a peggiorare le cose come dimostra il tragico bilancio dei suoi diciassette anni al potere.
E così prima Meles Zenawi e oraAbiy Ahmed Ali hanno deciso di puntare sul Nilo Blu per risollevare le sorti del paese, erigendo la Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD), a venti chilomentri dal confine sudanese. Una megadiga da oltre 4 miliardi di dollari, che avendo già cominciato a produrre corrente elettrica potrebbe nel giro di pochi anni trasformare l’Etiopia in un hub energetico regionale;ma che per l’Egitto e per il Sudan, se non si arriverà a una gestione delle acque conforme al diritto internazionale, costituisce un fatto inaccettabile, suscettibile di scatenare una guerra.
Bisogna sapere che solo nel tardo Novecento il bacino idrologico del Nilo ha fornito risposte certe ai quesiti di Erodoto. Non è il Nilo Bianco, il troncone più lungo che nasce dal lago Vittoria, a originare le piene. Ma il Nilo Blu, quello più orientale che nasce dal lago Tana, in Etiopia, che grazie alle piogge estive dell’altopiano assicura al fiume l’80 per cento di acqua e di sedimenti. Il che capovolge in qualche modo la storia, e ci costringe a rifare i conti con le esplorazioni europee nei secoli scorsi. Perché è evidente che le sorgenti del Nilo Bianco “scoperte” da Speke nel 1858, sotto il profilo idrologico valgono meno di quelle del Nilo Blu “scoperte” da Bruce nel 1770, peraltro raggiunte già nel Seicento da missionari spagnoli e portoghesi. La geopolitica del Nilo, con la battaglia diplomatica tra Cairo, Addis Abeba e Khartum per il controllo delle sue acque, è dunque figlia di una storia che si perde nel mito. Il dio delle piene Hapy precede le teorie di Erodoto. Come la fantomatica diga del Prete Gianni precede la realizzazione di quelle vere. Tra l’altro, prima del GERD, fu la grande diga di Assuan a mutare l’ordine delle cose. Perché diversamente dal tempio di Abu Simbel, smontato e ricostruito da un’altra parte, le piene annuali non le sopravvissero. Gli egiziani avevano rinnegato Hapy, per convertirsi al dio dell’elettricità. Anticipando di appena pochi decenni i loro “rivali” etiopici.
Nagib Mahfouz, Nobel egiziano per la letteratura, ha dedicato alle conseguenze di tutto questo uno dei suoi grandi romanzi. Chiacchiere sul Nilo è ambientato nella Cairo al tempo di Nasser, su un battello ormeggiato in banchina. Dove Anis e i suoi amici si rifugiano nella droga e nel sesso, dal momento cha la città si è ormai allontanata dal Mito e dalla Natura. Il fiume li osserva, li ascolta, entra nei loro pensieri. Rievoca la gloria dei Faraoni e l’epoca d’oro del Delta prima della siccità... Una notte Anis, strafatto di fumo, vede il fiume evaporare di colpo e diventare una nuvola nera. Al suo posto, nel letto melmoso, resta un’immensa balena, con le fauci spalancate, pronta a inghiottire la città con tutte le sue luci.