la Repubblica, 16 febbraio 2023
Auto elettrica, 12 anni di corsa a ostacoli
Un percorso a tappe forzate e pieno di ostacoli. Fra dodici anni in Europa sarà vietata la vendita di auto alimentate a benzina e diesel. Nel 2035 si aprirà l’era dell’elettrico puro: un traguardo fissato in maniera definitiva dall’europarlamento. Nonostante la decisione sia annunciata da tempo, piovono critiche. Il governo italiano dice «no» e i rappresentanti delle imprese del settore temono effetti pesanti sull’indotto a livello industriale e sociale: aziende della meccanica che scomparirebbero insieme ai posti di lavoro.
Il no del governo Meloni
Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, annuncia una controproposta: rivedere la percentuale di abbattimento delle emissioni di CO2, dal 100% al 90%, con lo scopo di non far morire il motore a scoppio e la relativa filiera industriale legata alla meccanica. Cambierebbe solo il tipo di carburante, sintetico o biocombustibile, in nome di quella che già con il governo Draghi l’ex ministro Roberto Cingolani definiva la “neutralità tecnologica”: non un’unica strada per perseguire l’obiettivo, quella dell’elettrico, ma più possibilità. Il governo precedente ha però messo sull’auto 8,7 miliardi fino al 2030 per sostenere gli incentivi all’acquisto e gli interventi industriali. La posizione di Tajani, già bocciata dall’Europa, rappresenta la linea contraria dell’esecutivo Meloni. Già il vicepremier Matteo Salvini aveva parlato di «follia».
I ritardi dell’Italia
Un modo per nascondere i ritardi dell’Italia? È lo stesso governo ad ammettere che le lacune ci sono. «L’Italia è in ritardo, dobbiamo accelerare sugli investimenti». Ma aggiunge: «I tempi e i modi che l’Europa ci impone non coincidono con la realtà europea e soprattutto italiana ». E poi c’è il timore della «dipendenza tecnologica della Cina».
La paura delle imprese
«Speriamo che si possa recuperare una soluzione di equilibrio», dice il presidente dell’Unione industriali di Torino, Giorgio Marsiaj. «Gli spazi per mediare ci sono, basta volerlo. Non ha senso imporre una soluzione tecnica sapendo che ci mette nelle mani di fornitori cinesi. Bisogna trovare una soluzione europea che non ci metta nelle condizioni di dipendenza in cui ci siamo trovati con il gas dalla Russia». Secondo l’Anfia, la sigla che raggruppa l’indotto, sono 900 le imprese più a rischio, quelle che si occupano di powertrain. Più di 70 mila i posti in bilico. Ancora più cupa la previsione di Confapi. Per il vicepresidente Corrado Alberto «è una scelta che nel breve termine metterà in difficoltà le piccole e medie industrie italiane». A rischio oltre 2.200 aziende del comparto e 195.000 posti di lavoro. L’impatto socialepotrebbe essere forte. Motus- E,l’associazione che rappresenta le imprese che nell’elettrico lavorano, dice no a posizioni di retroguardia. «L’unico modo per salvare l’occupazione è seguire proprio il trend dell’automotive mondiale», spiega il segretario Francesco Naso che da tempo pungola il governo sulla necessità di accelerare sulle colonnine e le infrastrutture di ricarica.
Gli Italiani e le auto elettriche
Gli italiani dicono che vorrebbero avere un’auto elettrica, ma poi non la comprano. Basta guardare i dati di vendita. Il 2022 è stato l’anno del crollo. L’Italia è stata sorpassata anche dalla Spagna. E a gennaio del 2023 la quota di elettrico puro è del 2,6%. Paese fanalino di coda nella Ue.
Il nodo colonnine
I punti a uso pubblico italiani sono cresciuti del 41% nel 2022, arrivando a 36.772 unità. Ne sono stati installati 10.748. Ora sono stati pubblicati i decreti in Gazzetta per impiegare gli oltre 700 milioni del Pnrr per piazzare altri 21 mila punti in città e sulle strade extraurbane. Un modo per recuperare il gap e rendere l’auto elettrica più appetibile. Si attende ancora il bonus (80% spesa) per l’installazione dei punti nei condomini privati.
La partita dei costruttori
I manager delle grandi case automobilistica parlano di “transizione forzata”, ma tutti si sono adeguati. Basta andare a vedere le valutazioni degli investimenti globali sull’elettrico e i piani con le scadenze. Dal 2025 al 2030, in anticipo di cinque anni sui tempi dettati da Bruxelles, si assisterà alla riconversione delle diverse gamme verso l’alimentazione a batteria. L’ultimo studio della Reuters indica che fino al 2030 i produttori, tra gigafactory, restyling delle linee, realizzazione degli impianti di riciclo, creazione di nuove filiere, investiranno 1.200 miliardi di euro. Più di quanto è stato messo sul Next Generation Eu. Volkswagen ha messo sul piatto poco meno di 100 miliardi, Toyota circa 70 miliardi, Ford oscilla intorno ai 50, Mercedes ha stanziato 47 miliardi. Stellantis, partecipata da Exor che controlla anche Repubblica, prevede di impiegare più di 30 miliardi con l’obiettivo di avere una gamma elettrificata al 100% al 2030. Piani che toccano anche l’Italia, dove il gruppo trasformerà le meccaniche di Termoli in gigafactory. Un investimento da 2,5 miliardi realizzato da Acc, joint venture con Mercedes e Total, che occuperà a regime, nel 2030, duemila persone. Altro investimento è l’hub del riciclo a Mirafiori, dove si produce la 500e, una delle vetture più vendute a livello europeo.