La Stampa, 16 febbraio 2023
A 45 anni Buffon non molla. Intervista
Ha appena spento 45 candeline. Molti compagni potrebbero essere suoi figli. Pochissimi erano nati nel 1995 quando Gigi Buffon s’affacciò in Serie A e nella leggenda. Il portierone ha parato anche il tempo, continua a stupire nel Parma che è la chiusura del cerchio, la culla dove ha scelto di tornare dopo aver collezionato record e trofei con la Juventus – 19 stagioni interrotte da un’esperienza al Psg - e con l’Italia: ultimo spot dell’eterna giovinezza, una straordinaria parata su Dzeko nella notte di Coppa Italia che lo ha visto protagonista per la cinquantesima volta a San Siro.
Buffon, sa che il magnate americano Bryan Johnson, suo coetaneo, spende due milioni di dollari all’anno per ringiovanire? Potrebbe insegnargli il suo trucco…
«Ma io sono felicissimo così e non pagherei per tornare indietro: dalle consapevolezze conquistate alla gioia della famiglia, sento di avere più soddisfazioni adesso».
Il trucco però c’è e si vede…
«Credo sia unire alle doti che madre natura mi ha dato la capacità di uscire dall’ordinario, rigenerando energie, entusiasmo, sogni e voglia di raggiungerli. Forse mi ha aiutato essere un Acquario, dicono siamo sognatori».
Con lei sogna il Parma che vede i playoff
«Diciamo che nelle ultime partite abbiamo un po’ aumentato il ritmo: migliorarsi è importante per nutrire la speranza, accendere l’ambizione di poter raggiungere un traguardo».
Nessun altro eroe di Berlino gioca più: in Serie B, il suo campionato, Grosso, Gilardino, Inzaghi e Oddo allenano. C’erano anche Cannavaro e De Rossi, esonerati.
«Si va avanti se sostenuti da una buona condizione e si ha la capacità di crearsi un obiettivo che non diventi ossessione ma motivazione. Io ho scelto il ruolo migliore per poter rimandare l’approdo a un secondo mestiere».
Nel 2006, proprio l’anno del Mondiale, lei visse Calciopoli. Cosa consiglia ai bianconeri di oggi?
«Di far leva, per ottenere il massimo, sull’unico aspetto positivo della vicenda. Per quel che li riguarda, non hanno più nulla da perdere: tutto ciò che guadagneranno non sarà più preteso, sparisce la pressione di dover per forza andare in Champions o rimanere accanto al Napoli. È una sfumatura che alleggerisce».
Lei che idea si è fatto?
«Aspetto che si completino gli iter giudiziari. Ma in caso di un’altra dura condanna nello spazio di diciassette anni, considerato che la Juve viene dipinta come il potere poiché vincente, non potrei non pormi una domanda: è il potere masochista che si autoflagella e o è l’antipotere che vuole battere il potere?».
Da protagonista del ciclo di Andrea Agnelli, che bilancio traccia?
«Mi fermo al giudizio del campo, il mio mondo, e dico che dieci anni come quelli del presidente sono irripetibili: passeranno lustri prima che qualcuno possa eguagliarli».
Il Napoli si avvia a uno storico scudetto.
«È sicuramente la più grande sorpresa del campionato: ai nastri di partenza appariva depotenziato avendo perso punti di riferimento importanti, invece sono stai bravissimi. I meriti sono di tutti, incredibili quelli dell’allenatore che se preso la squadra sulle spalle e del ds, illuminato nella scelta di campioni a costi accessibili».
Ha visto il Milan con il Tottenham?
«Ho trascorso la serata di San Valentino con mia moglie, però so che ha offerto una buona prestazione, superando un momento duro e secondo me comprensibile: il percorso negli ultimi anni è stato eccellente, ma lo scudetto è stato sorprendente, non erano favoriti, e siccome confermarsi non è semplice capita che qualcosa si inceppi e cominci a venir meno il circolo d’entusiasmo. Sono stati bravi a gestire le difficoltà».
Restiamo alla Champions: Donnarumma, suo erede azzurro, è al centro delle critiche per l’errore contro il Bayern Monaco.
«È il destino dei portieri, ruolo che sconsiglio anche ai miei figli: c’è sempre una parte di imponderabile che prescinde dalle capacità, rispetto ai ruoli offensivi hai molto più da perdere che da guadagnare».
Donnarumma a parte, sembra tornata la scuola dei portieri italiani.
«Da parecchio non si vedeva un livello così alto. In B Caprile è la migliore espressione, in A ce ne sono tanti bravi: Audero, Falcone, Provedel che si conferma a un livello superiore, Carnesecchi che al debutto in categoria lascia percepire un talento cristallino, Vicario che per il secondo anno sta facendo qualcosa fuori dal comune».
Oltre i portieri, rileva una rinascita azzurra?
«Il talento ti lascia senza parole, ti acceca, e quello obiettivamente non lo vedo. Poche eccezioni, come Verratti o Chiesa: non credo di essere troppo critico, forse mi piace essere concreto e non riesco a suggestionarmi».
Ancora sul tema: quando Di Maria, suo compagno al Psg, scelse la Juve lei parlò di un talento sottovalutato. Il Mondiale e alcuni lampi in bianconero le danno ragione.
«Non è così strano, purtroppo il calcio che è bellissimo ed è sport di popolo è anche un po’ una bugia: l’importanza di alcuni calciatori nel rendere virtuosa o vincente una squadra non è sempre percepita, restano impressi quelli più appariscenti e meno utili».
Oltre il campo, è stata molto bella la sua solidarietà per i popoli colpiti dal terremoto: i suoi guantoni autografati all’asta per raccogliere fondi.
«Abbiamo la fortuna di poter dare una mano con gesti normali, di regalare felicità o strappare sorrisi con poco, di trasmettere positività e fiducia a persone che ne hanno sete: ne sono consapevole e quando posso la metto a disposizione, faccio volentieri qualcosa per sdebitarmi di ciò che ho avuto dalla vita».
Negli ultimi mesi ci hanno lasciato Vialli e Mihajlovic...
«Ti resta addosso un velo di tristezza. E capisci l’importanza che avevano oltre il calcio, nel sociale e nella famiglia: prima che campioni, erano padri, mariti, amici. Mi ha commosso una lettera della figlia di Sinisa: dobbiamo far capire ai nostri la fortuna che abbiamo a stare insieme ogni giorno, a non avere malattie. Serenità e salute non sono scontate».
Un commento su Jankto, primo calciatore importante a fare outing?
«Se lo ha ritenuto opportuno per un suo benessere esistenziale sono felice, noi non dobbiamo meravigliarci. L’omosessualità non deve essere né un problema né un tabù, vedo i miei figli e nipoti affrontare con normalità certi temi: i giovanissimi, come mentalità, sono avanti».
Buffon, le 45 candeline sono spente: fino a che età la vedremo volare tra i pali?
«Guardiamo intanto come finiamo quest’anno, posso trarne un’indicazione: alla mia età, e sono ottimista, è bello ragionare di mese in mese».