La Stampa, 16 febbraio 2023
Perché Paolo Giordano ha rifiutato il Salone del libro
«Non sono abituato a tutto questo e se manco di etichetta non me ne vogliate. Mi sembra corretto però, arrivati a tal punto, parlare». L’incipit è importante per gli scrittori e Paolo Giordano, 40 anni, torinese, Premio Strega con La solitudine dei numeri primi e autore di altri romanzi, da ultimo Tasmania (Einaudi), candidato alla direzione del Salone del libro, ieri ha deciso di cominciare così la sua conversazione online con alcuni giornalisti.
L’espressione, i gesti e la comunicazione sono sofferti: «Cominciava a sembrare un po’ sinistro che non prendessi la parola, ma non mi sembra ci siano più le condizioni per la mia partecipazione alla manifestazione d’interesse per la direzione del Salone. Lo dico pur essendo allergico alle esternazioni plateali. Lo faccio per correttezza verso tante persone che mi hanno sostenuto fortemente per la nomina. E nel rispetto della stampa che fa domande su un bene che ci riguarda tutti, a cui è giusto dare risposte».
Cos’è successo? «Non sono un politico e non voglio esserlo. Ho avvertito che non ci sarebbe stata una piena libertà nella mia gestione di direttore». Il problema per lo scrittore non sarebbe stato tanto la coabitazione con la scrittrice Elena Loewenthal, anche se la cita come possibile «vicedirettrice», mentre lei aveva posto il tema di una divisione dei ruoli e di deleghe precise: «È sembrato che io non volessi lavorare con lei. Ho accolto la proposta della sua vicedirezione, nonostante restasse in me la domanda del perché, di quale mancanza andasse colmata, ma ero contento di lavorare con lei. Però si sono poi aggiunte altre richieste sul comitato editoriale con delle presenze specifiche che mi avrebbero affiancato. Persone di area non scelte da me, ma imposte».
Quando gli chiediamo di che area, Giordano finalmente sorride: «Di destra, ma non è questo il punto. Probabilmente sarebbe stato identico in un’altra fase con la sinistra. Non ne faccio neanche una questione di principio, ma di gestibilità. L’indipendenza di cui Lagioia ha parlato lunedì alla presentazione del Salone mi sembra non negoziabile».
Lo scrittore precisa di «non vivere in un mondo dove non esista la politica o la negoziazione, anzi ho dimostrato disponibilità e curiosità, ma non ci sono le condizioni. Tutti gli enti, anche governativi, hanno diritto di essere presenti, ma ci sono delle regole di ingaggio. Mi dispiace solo di non aver percepito una reale fiducia nell’universalità della cultura e dei libri. Si vuole invece polarizzare tutto rendendo impossibile una gestione».
Gli chiediamo se la scelta del futuro direttore possa essere affidata a una commissione internazionale indipendente, come suggerito dallo scrittore Gianluigi Ricuperati, ritiratosi anche lui dalla corsa: «Non penso e non ho capito quali sarebbero i punti manchevoli o di dubbio su di me tali da dover invocare una commissione straordinaria».
Gli domandiamo anche come sia iniziata la sua partecipazione: «Ho sempre amato il Salone. Se c’era una realtà di cui potevo immaginare di occuparmi era quella, pure per motivi geografici. Quando ho iniziato a capire che c’era questa opportunità ho cominciato, anche individualmente, a fantasticare sull’idea. Poi ho parlato con gli organizzatori per capire se era lunare o fattibile. Tutto qui. La manifestazione d’interesse non è stata una pagliacciata. Quando c’è stata la discussione sul profilo più intellettuale o manageriale del direttore ho espresso l’idea che essendoci già una macchina servisse una persona con una forte visione editoriale. Pensavo di avere delle idee e di poterle attuare in modo degno».
Giordano confida così di «essere entrato in questa fantasia e di aver mandato il cv, perché mi sembrava una pratica felicemente ordinata e civile di procedere alla valutazione di profili diversi per un ruolo così importante. Il mio silenzio finora è passato per sdegnoso riserbo, mentre in realtà mi sembrava l’atteggiamento per un concorso con regole cristalline».
Nel frattempo però, denuncia, «c’è stata un po’ di scompostezza, il processo è stato alterato da convenienze e posizionamenti e si è abusato di metafore calcistiche (il riferimento è al presidente del Circolo dei lettori Giulio Biino, ndr). La nostra cultura merita di meglio dei confronti col calciomercato. Non era il dibattito di cui avevamo bisogno».
Insomma, per Giordano «non ci sono le condizioni per una nomina di totale fiducia e libertà come una direzione culturale dovrebbe avere, come ha avuto Lagioia e come dovrebbe fare ogni scrittore». E ora? «Non lo so e mi sento responsabile, ma credo che sia meglio smuovere le acque. La cultura merita di non essere lottizzata come tutto il resto dai partiti e non mi sentirei a mio agio e nel giusto ad avvallare tutto ciò. Le ultime ore sono state confuse e tutt’ora sono in dubbio se abbia sprecato un’occasione».