La Stampa, 16 febbraio 2023
I bambini che si ammalano di tumore
l pediatra aveva detto che si trattava di tosse nervosa. «Probabilmente il bambino soffre per la nascita della sorellina, non si preoccupi, passerà». Ma un giorno Francesca è andata a svegliare Nicolò, che fino a poche ore prima era a giocare in piscina, e la domenica precedente sullo slittino, e che nessuno riusciva a fermare mai. Lui, che all’asilo si precipitava sempre di corsa, le ha detto: «Mamma, non mi sento sicuro». E a quel punto lei ha preso la macchina e ha guidato da Bologna fino a Riccione perché lì c’era un pediatra che conosceva, uno che i bambini li visita ancora. E quel medico le ha detto: «Corra in ospedale. Non sento i polmoni».
Francesca è Francesca Testoni, direttrice di Ageop ricerca. Ageop è l’associazione fondata da alcuni genitori di bambini malati di cancro nel 1982 che da anni sostiene, grazie a bandi pubblici e donazioni private, gli studi scientifici sui tumori e l’assistenza ai bambini e alle famiglie a Bologna, in collaborazione con il Policlinico Sant’Orsola. Anche quando quei bambini arrivano da lontano, dalla Serbia, dal Montenegro, dalla Libia, dai Paesi dove curarsi è molto più difficile che da noi.
Se stavolta Francesca parla del figlio, però, di quel che è accaduto a lei nel 1999 quando scoprì che la tosse non era nervosa ma causata da un sarcoma che si era preso i polmoni del suo bambino, è perché da quando lavora con Ageop quella storia l’ha vista ripetersi troppo spesso. «Sono passati ventitré anni e si continua a restare senza speranza per la mancanza di diagnosi precoci. In oltre un ventennio non sono cambiati i protocolli, non sono stati studiati marker rivelatori, la concezione dell’Ospedale senza dolore non è ancora una pratica abbastanza diffusa». Perché il sarcoma non è solo il tipo di tumore infantile che più spesso ha prognosi infausta, ma è anche quello più doloroso. Lo ha raccontato nei mesi scorsi la mamma di Lorenzo Bastelli, quando aveva chiesto «scrivete a mio figlio per fargli vedere ancora il mondo, scrivete per distrarlo dal dolore». La valanga di lettere, video, disegni arrivata ha accompagnato Lorenzo negli ultimi mesi della sua vita. Ma non può esistere solo la solidarietà, per questi bambini e per queste famiglie. Serve l’impegno delle istituzioni, servono i fondi per la ricerca.
In Italia ogni anno si ammalano di tumore o leucemia oltre 1400 bambini e oltre 800 adolescenti. Ma mentre per le leucemie e i linfomi le guarigioni sono aumentate, rimangono drammaticamente basse per i tumori cerebrali, i neuroblastomi e i sarcomi. Questi ultimi – i meno studiati, i più insidiosi – sono il 22 per cento delle neoplasie diagnosticate a bambini e ragazzi. L’osteosarcoma ha un picco d’incidenza fra i 10 e i 25 anni, il Sarcoma di Ewing in due fasce d’età, fra i 3 e i 6 anni e tra i 15 e 25 anni. Mentre il Rabdomiosarcoma si sviluppa principalmente dai 2 ai 6 anni e dai 15 ai 19 anni.
«Non si fa mai una classifica delle malattie – dice Francesca Testoni – ma altri tipi di tumore, le leucemie, i linfomi, hanno rovesciato le percentuali di guariti rispetto a 20 anni fa. Nei sarcomi, che sono tumori maligni solidi, recidivanti, e in cui la diagnosi precoce è essenziale, è tutto drammaticamente fermo». Così, senza marker specifici, senza protocolli nuovi, «li si scopre quando il bambino arriva in pronto soccorso con una massa di dimensioni tali da aver già provocato dei danni. Perché i sarcomi premono sulle parti molli, comprimibili, accorgersene in tempo è la cosa più difficile».
Quando Francesca nel 1999 è arrivata con suo figlio in ospedale, i raggi hanno mostrato – al posto dei polmoni – una gigantesca massa bianca. Il versamento aveva invaso la gabbia toracica. A quel punto la diagnosi arrivò in pochi giorni, ma una volta tentato l’intervento si capì che il sarcoma era inoperabile, perché molto diffuso. Quella tosse andava avanti da mesi. «Quest’anno, dopo 23 anni, ho rivissuto la stessa storia con una bambina arrivata da noi dopo che per mesi i pediatri e l’otorino avevano detto ai genitori che il suo raffreddore continuo era causato dalle adenoidi. Che si trattava di infiammazioni passeggere. Finché non è stata portata al pronto soccorso con difficoltà respiratorie e da lì è passata direttamente in rianimazione. L’ingiustizia di questo tumore è che è raro tra i rari, ma il diritto alla salute dovrebbe essere assoluto, universale. Non proporzionato al numero. I bambini e i ragazzi malati di sarcoma hanno diritto ad avere una diagnosi precoce e cure che non siano ferme, che non siano tossiche, ma a misura di bambino».
Questo è l’altro gigantesco problema. La ricerca non manca solo sulla diagnosi, ma anche sulla cura e sui farmaci specifici. Un paziente bambino è diverso da un paziente adulto. La sua sopportazione di alcune molecole è molto inferiore, la tossicità di alcuni farmaci insopportabile per un organismo non ancora sviluppato. «Per capire la differenza e l’ingiustizia insita nei passi avanti fatti, basta sapere che per le leucemie e i linfomi per fortuna siamo ora all’80 per cento di possibilità di guarigione. In certe forme anche al 90. Ma per i sarcomi siamo fermi a mala pena al 40 per cento, e la possibilità vale giusto per chi se ne accorge in tempo».
L’ingiustizia estrema di cui parla Francesca Testoni non riguarda solo l’Italia. Non sono “considerati” rari solo i tumori infantili, sono sempre più rari anche i bambini, così – in generale e in tutt’Europa – si investe sempre meno sugli ospedali pediatrici. «Si pensa che per un tumore all’osso ci si possa rivolgere all’ortopedico degli adulti, ma non è così. La cura dei tumori infantili richiede multidisciplinarità, confronto continuo, messa in rete dei dati. Quando al Sant’Orsola si esamina un caso lo si fa con l’ortopedico, il cardiologo, l’ematologo, con tutti gli specialisti perché le cure sono così invasive che è tutto l’organismo ad essere sotto attacco. E ad aver bisogno di essere protetto. Una ragazzina di 14 anni si è ammalata di fibrosi polmonare a causa delle cure che aveva fatto in passato. Era sopravvissuta al tumore, ma è morta dopo, per la fibrosi, in attesa del trapianto».
La ricerca sui farmaci adatti ai bambini ammalati di tumore serve a questo. Affinché facciano meno danni possibile. E a questo servono le due borse di ricerca che quest’anno finanzia Ageop, che conta ormai oltre 200 volontari, 5 case di accoglienza e garantisce gratuitamente alloggio, vitto, consumi, trasporti e cure psicologiche a circa 100 bambini con le loro famiglie. Il primo progetto, affidato a Federico Mercolini, si concentrerà sulla cura dei sarcomi nei bambini. Il secondo, coordinato dalla dottoressa Costanza Donati, riguarda la radioterapia: come rimedio, ma anche come cura palliativa quando non c’è più nulla da fare e la cosa su cui concentrarsi è eliminare il dolore.
La bambina con il raffreddore di cui parlava Francesca Testoni, che chiameremo C. per non rivelarne l’identità, non ce l’ha fatta. Il rabdomiosarcoma che l’aveva colpita, uno dei più rari, con un’incidenza di 4,5 casi ogni milione di bambini, non ha protocolli di seconda linea. Ha frequenti recidive, e sulla recidiva non si sa ancora bene cosa fare. Così C. ha subito la terapia intensiva, la chemioterapia, un intervento, la radioterapia, ma poi il tumore è tornato più violento di prima e a quel punto è stato impossibile fermarlo. È guarito invece dal sarcoma di Ewing quest’anno D., un ragazzo che era arrivato in Italia dal Montenegro e che nel lungo periodo di cura che ha dovuto affrontare è stato ospitato con la sua famiglia a Bologna. La sua storia e quella degli altri ragazzi che prendono in tempo la malattia dimostra come non sia impossibile, guarire. E non c’entrano il caso, la fortuna, il destino. Servono più ricerca, più protocolli di cura, un investimento reale sulla diagnosi precoce. La giornata mondiale dei tumori infantili è nata per questo: per ricordarcelo. Per non lasciare soli quei bambini e quelle famiglie. Ageop – e le tante associazioni che come Ageop operano in Italia solo grazie a donazioni e buona volontà – è nata per questo. Quando Francesca Testoni ha perso Nicolò ha cominciato a lavorare per questo. Per tutti i genitori che come lei rimangono soli ad affrontare l’inaffrontabile: «Abbiamo leggi farraginose come la 104 che comunque valgono solo per i lavoratori dipendenti. Abbiamo norme per cui se perdi un figlio, hai diritto a tre giorni di lutto, poi devi tornare al lavoro. Abbiamo una società che non contempla tanto dolore, lo rimuove, non lo affronta, non si impegna e non investe per lenirlo». Ecco, tutto questo deve cambiare.