La Stampa, 14 febbraio 2023
Su "Curiosissimi fatti di cronaca criminale" di Hans Tuzzi (Bollati Boringhieri)
In questi giorni di ripetuti abbattimenti aerei (non proprio di dischi volanti, ma comunque di Ufo, oggetti volanti non identificati: siamo già a quattro) non sarà forse un caso, ma una coincidenza interessante sì, l’imminente arrivo in libreria – il 21 febbraio - di un romanzo quantomeno spiazzante: Curiosissimi fatti di cronaca criminale (Bollati Boringhieri).
L’autore, Hans Tuzzi pseudonimo tratto da Musil di Adriano Bon, è, per dirla con i suoi poliziotti e carabinieri, una vecchia conoscenza; ha dato vita nel tempo a uno dei detective più colti, raffinati, complessi – e divertenti – del giallo non solo italiano, il vicequestore Norberto Melis, 19 avventure in vent’anni cominciate con «Il maestro delle testa sfondata» e finite esattamente dodici mesi fa con «Ma che cos’è questo nulla?».
Ora, pur restando fedele a se stesso, ha cambiato strada, confezionano un romanzo di taglio fantastico che sarebbe arduo definire «giallo» nonostante lo stuolo di funzionari e ufficiali, servizi segreti compresi, che indagano su misteriosissimi ammazzamenti, guarda caso consistenti per lo più nella decapitazione delle vittime: e senza che coli nemmeno una goccia di sangue.
La vicenda è ambientata in un’Italia ormai antica, quella del governo Tambroni e delle Olimpiadi di Roma, quando usciva nelle sale fra pubblici scandali e segreti piaceri La dolce vita di Federico Fellini, in Francia il generale De Gaulle cercava di chiudere onorevolmente la guerra d’Algeria e in Italia molti fascisti, proprio quelli brutti e cattivi, erano ancora vivi vegeti, oltre che dediti a pensamenti più o meno esoterici; e cospiravano. Le loro reti segrete collegate con la Francia e con quella che di lì a poco sarebbe diventata l’Oas, però, vengono improvvisamente scompigliate, almeno del romanzo, da qualcuno che li spedisce al creatore con rituali e procedure davvero barocche, anzi gotiche. Sono tutti classici delitti della camera chiusa.
E tutto sommato l’autore (gli autori) non pare un essere umano – a meno che non siano misteriosissimi servizi segreti, italiani o stranieri -, perché lascia di sé tracce evidentissime e tuttavia incredibili, come lampi di luce nel cielo, messaggi in codice, magici segnacoli. Alcuni animali, come se non bastasse, prendono improvvisamente a parlare, rivolgendosi soprattutto ai bambini; e voci di ogni tipo spiegano complesse filosofie sapienziali ma anche vicende quotidiane, magari adulterine. E’ come se quei giustizieri arrivati da un altro mondo (ne vediamo alcuni: sono omini piccoli piccoli, ma chissà forse si tratta di allucinazioni) ribadiscano agli interlocutori una semplice verità: siete voi ad averci chiamati.
Questo l’impianto, e non diremo di più per ovvie ragioni, se non che l’ambientazione è fra l’amata Milano (che pure «faceva indefettibilmente schifo, ma di uno schifo tutto suo») e quel ramo del lago di Como caro a Don Alessandro, peraltro molto evocato tra citazioni e calchi stilistici. Ma c’è anche, ad esempio, un personaggio che allude al mitico Peter Kolosimo, giornalista e divulgatore di grande successo fino alla soglia degli Anni Ottanta coi suoi libri di fanta-archeologia, convintissimo dell’esistenza di intelligenze extraterrestri già scese in antico sul nostro pianeta dando luogo alle nostre civiltà: che un colto e scettico detective (erede di Melis, ma anche proiezione dell’autore) prende persino un po’ sul serio, evitando di chiedergli da chi allora siano state istruite in origine queste mitiche intelligenze lontane e superiori. E ci sono infinite allusioni a fatti e personaggi reali o immaginari, alla letteratura, ai poeti.
Quel che però conta in questo libro è lo stile, denso di criptici riferimenti che sarà compito del lettore, se proprio lo desidera, andare a chiarirsi magari su Wikipedia, ma soprattutto giocato più che mai, e più felicemente che mai, sulla tavolozza del plurilinguismo.
Tuzzi non si nega ai calembour e ai calchi d’autore, plana dallo stile «alto» a quello colloquiale, fa un uso parsimonioso ed efficace dei vari dialetti (senza la goffa overdose cui ci hanno abituato molti scrittori di polizieschi); non si sottrae né a Saba né, poniamo, a Totò, alla descrizione ironica dei personaggi o alla esplicita caricatura. In altre parole si diverte, da scrittore colto qual è, gran conoscitore di libri antichi, di cani, di cavalli, di esoterismi e di letteratura e storia, con una lettura del mondo che diremmo manzoniana.
Anzi, sempre a proposito di coincidenze va pur segnalato che esce da Carocci una mirabile antologia di Gianfranco Contini, a cura di Umberto Motta, Una corsa all’avventura, saggi scelti 1932 – 1989, dove spicca ovviamente la storica introduzione alla Cognizione del dolore, il capolavoro gaddiano: è quella dove il critico sottolinea una continuità di principio tra i due gran lombardi. Guarda caso, in questo libro Tuzzi, già di suo manzoniano, trova cadenze del tutto gaddiane, soprattutto nel modo in cui chiude, in clausola beffarda, certi pezzi di bravura. Come se quell’antico saggio un poco parlasse anche di lui; magari ad opera di extraterrestri?
Manzoni non sapeva nulla di loro, gli bastava la Provvidenza. Ma i personaggi di Tuzzi vivono in un mondo che già, come dice lo pseudo Kolosimo, sta sostituendo nel suo «immaginario di specie» gli dèi con gli extraterrestri: processo che, si direbbe, è andato nel frattempo trionfalmente avanti. Quelli di “Curiosissimi fatti di cronaca criminale” sono però, in tutta semplicità, ironici e implacabili giustizieri dell’immaginario, perché a ben guardare non colpiscono l’aspetto delittuoso delle vittime – che c’è e non c’è – quanto la loro stolida trombonaggine. E poi via, sono giustizieri di carta, che magari stanno dietro lo specchio di Alice o in qualche mitologia antica: a dirla tutta, nello stile e nel gioco (serissimo) della letteratura. Non resta dunque che abbandonarsi ad esso, fra una settimana, magari pensando che se ci sono tanti marziani in giro (ma non così più tecnologici di noi, visto che i loro Ufo si lasciano docilmente abbattere) una ragione ci sarà pure. A quanto risulterebbe a Tuzzi, la conoscono i gatti, o le falene.