Italia Oggi, 15 febbraio 2023
Quando Lavrov promise di rispettare i confini dell’Ucraina
Sergej Lavrov, 72 anni, è ministro degli Esteri della Federazione russa dal 2004. Da quasi vent’anni è il capo indiscusso della diplomazia del Cremlino, un volto noto, da molti ritenuto addirittura presentabile in Occidente. In realtà, Lavrov è un ministro che mente sapendo di mentire, soprattutto quando parla della guerra in Ucraina. Un vizio abituale, quanto imperdonabile, al centro di un breve saggio di Andreas Umland, analista del Centro di Stoccolma per gli studi sull’Europa orientale, in cui sostiene che l’aggressione militare della Russia contro l’Ucraina sta smantellando l’ordine mondiale, con conseguenze imprevedibili sul piano nucleare.
A nominare Lavrov ministro degli Esteri è stato Vladimir Putin, che ne conosceva bene il curriculum e le idee politiche: entrambi hanno fatto carriera sotto il comunismo sovietico, e dopo il crollo del comunismo nel 1991, con la fuoriuscita dall’Urss di undici repubbliche che volevano la democrazia e non più avere a che fare con il dirigismo sovietico di Mosca, sia Putin che Lavrov si sono assegnati la missione di ricostruire l’impero comunista con ogni mezzo, anche con la guerra contro le repubbliche che si erano staccate da Mosca, in testa l’Ucraina. Non è un caso se i biografi di Lavrov ricordano che il suo modello ideale è Aleksandr Gorsakov, ministro degli esteri dello zar Alessandro II, teorico a metà Ottocento dell’espansionismo russo nell’Asia centrale. E durante la sua lunga carriera, iniziata nel ministero degli Esteri di Mosca nel 1972, subito dopo la laurea, quando al Cremlino comandava il partito comunista, e proseguita senza interruzioni al fianco di Putin, Lavrov non ha mai nascosto il suo obiettivo: ripristinare l’influenza internazionale della Russia, anteponendosi in modo sistematico agli Stati Uniti e alla Nato.
Durante l’epoca comunista, grazie agli appoggi politici, nel 1994 Lavrov è diventato l’ambasciatore permanente della Russia presso le Nazioni Unite a soli 44 anni, un’eccezione rispetto alla gerontocrazia russa del tempo. Grazie a quell’incarico, durato dieci anni, è vissuto a New York, ha conosciuto gli Stati Uniti ed ha firmato documenti imporranti. Tra questi, il memorandum di Budapest del 1994, al centro del saggio dell’analista Umland, pubblicato in Italia dall’Huffpost. Con quel memorandum, tre potenze nucleari, Usa, Gran Bretagna e Urss, che avevano firmato in precedenza il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp), si impegnarono a dare garanzie di sicurezza a Ucraina, Bielorussia e Kazakistan, tre repubbliche uscite dall’orbita di Mosca.
L’Ucraina, ricorda il saggio, un tempo possedeva una grande arsenale di armi nucleari, ereditato dall’Urss. Kiev, insieme alla Bielorussia e al Kazakistan, decise di rinunciare a tutte le testate atomiche sovietiche che possedeva all’inizio degli anni Novanta. Questi tre Stati ratificarono così il Trattato di non proliferazione, che li definisce ufficialmente Stati privi di armi nucleari e vieta a loro di costruirle. In cambio, precisa Unland, «le tre grandi potenze nucleari firmatarie del memorandum di Budapest, Urss compresa, promettevano di rispettare la sovranità e i confini dei tre ex Stato sovietici, e di astenersi dall’esercitare pressioni politiche, economiche e militari su di essi. Gli altri due stati dotati di armi nucleari ai sensi del Tnp, Francia e Cina, rilasciarono dichiarazioni separate, annunciando il loro rispetto per l’indipendenza e l’integrità di Ucraina, Bielorussia e Kazakistan».
Dal 2014, con l’occupazione della Crimea, scrive Umland, «la Russia ha violato questo importante trattato, firmato dall’allora rappresentante permanente di Mosca alle Nazioni Unite, Sergej Lavrov, nei modi più eclatanti. Oggi la Russia sta punendo il disarmo nucleare volontario dell’Ucraina con una pioggia di decine di migliaia di granate, bombe, razzi e missili che distruggono non solo gli edifici e le infrastrutture militari, ma anche quelle civili, uccidendo e terrorizzando gli ucraini ogni giorno. Il fatto che Mosca stia sovvertendo la logica del regime di non proliferazione nucleare dovrebbe preoccupare non solo gli ucraini, ma anche altre nazioni».
L’aggressione militare di Putin, evento che Lavrov, da gran bugiardo, continuò a smentire fino al giorno prima dell’invasione dell’Ucraina, a giudizio di Umland è ormai tale, per intensità e durata, da porre in discussione l’intero ordine mondiale: «Se il principio della forza bruta regola ancora le relazioni internazionali, la conclusione che ne possono trarre le nazioni prive di ombrello nucleare è la seguente: non possiamo fare affidamento né sul diritto internazionale e sulla comunità umana in generale, né sulla logica del Trattato di non proliferazione e dei suoi fondatori. Pertanto, dobbiamo procurarci la bomba».
Più avanti: «Il problema della salvaguardia del mondo dalla proliferazione nucleare ha ricevuto poca attenzione negli ultimi otto anni. Molti si preoccupano maggiormente di un eventuale conflitto nucleare tra Usa e Russia». Il problema più grave, invece, è che «la forza del Trattato di non proliferazione si deteriorerà sempre di più finché la Russia continuerà a dimostrare che uno Stato che minaccia di usare le armi nucleari può espandere il proprio territorio a piacimento». Il tutto mentre Lavrov, il gran bugiardo alla corte dello zar Putin, continua a rovesciare la realtà dei fatti e dare la colpa della guerra al paese aggredito, l’Ucraina, e ai suoi sostenitori, gli Usa e la Nato: «Vogliono smembrarci. Ci hanno già provato Hitler e Napoleone», ha detto tre giorni fa. Balle di propaganda. Ma in Italia c’è chi ci crede e lo fa intervistare da una sua tv, il nome lo conoscete.