Corriere della Sera, 15 febbraio 2023
Ora Django è un eroe fluido
«Il western è un genere fantastico: contiene cose antiche e moderne che rendono possibile la sua continua reinvenzione». Quella operata da Francesca Comencini – direttrice artistica della serie Django, dal 17 febbraio su Sky e in streaming su Now – insieme agli sceneggiatori Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli su una materia delicata come il classico di Sergio Corbucci è partita dalla domanda: cos’è un cowboy? La risposta ha lo sguardo ferito e sfuggente di Matthias Schoenaerts, Julian Wright, detto Django.
«Un personaggio che ci ha permesso di resettare i codici del virile, restituendo un nuovo punto di vista sulla mascolinità. È un uomo che ha perso tutte le certezze, cerca una seconda possibilità – racconta la regista che ha diretto i primi quattro dei dieci episodi, gli altri affidati a David Evans e Enrico Maria Artale —. Un lupo solitario pieno di misteri e ferite. Ha un cuore caldo, quasi incandescente, in una cornice molto fredda». Che non basta a cancellare il tormento dei legami perduti. La moglie, amatissima. E, sorpresa, anche un uomo, il cognato Elijah. Django fluido? «La sua è una forma di inquietudine che lo porta a cercare sempre qualcosa di più e gli fa vivere l’amore in diverse forme. È un uomo di passioni. Pronto a tutto per ricucire il legame con la figlia».
La vicenda si sgancia sia dall’originale con Franco Nero (che appare nei panni del Reverendo Jan), che da altri omaggi (come quelli di Tarantino). Siamo nel 1872, in Texas, Django è un cowboy alla ricerca della figlia Sarah (Lisa Vicari), unica sopravvissuta al massacro della sua famiglia che lui, assente, non ha potuto impedire. Arriva a New Babylon, una città libera costruita sul fondo di un cratere, dove scopre che la ragazza sta sposare il fondatore della comunità, John Ellis (Nicholas Pinnock). Contro di loro ha scatenato tutte le due forze Elizabeth Thurman (Noomi Rapace), proprietaria terriera schiavista accecata dall’odio e dal fanatismo religioso che fa della distruzione di New Babylon una ragione di vita. Nel cast anche Manuel Agnelli, Vinicio Marchioni e Thomas Trabacchi.
«Mi affascina questo personaggio guidato più da spinte irrazionali che razionali – riflette Schoenaerts —. Che sfugge a ogni categorizzazione». Anche quelle sentimentale. «Mascolinità, femminilità, bene, male. Hanno significati diversi, a seconda dei contesti e delle epoche. A volte mi chiedo come l’umanità possa essere così evoluta e arretrata allo stesso tempo. Andiamo nello spazio e pensiamo che i rapporti tra uomini e donne debbano essere guidati da regole semplicistiche». Pochi generi, sottolinea, si adattano come il western a superare confini e infrangere regole. «In questo caso quelle che dominano le ragioni del cuore. Chi l’ha detto che la sensibilità sia una peculiarità femminile? Anche gli uomini piangono. Django è un uomo pieno di rimpianti di cose perdute e ferite. Quella aperta è rapporto con la figlia. Che farà di tutto per sanare».
Con forza, certo ma non solo, chiariscono gli sceneggiatori. «Django ha alle spalle situazioni molto dure. Per sostentare la famiglia è stato costretto a tirare fuori una durezza estrema. E l’ha pagato caro. La sua rottura del tabù è concedersi la fragilità e la tenerezza – sottolineano Ravagli e Fasoli –. Amare la famiglia e la moglie non esclude la possibilità di un sentimento profondo per un uomo. Il prototipo del cowboy è il John Wayne di Ombre rosse che vediamo andare verso il sole. Il nostro è un uomo che non sempre sa dove andare. Accetta di non dovere essere lui il pilastro. È un valore positivo».