la Repubblica, 15 febbraio 2023
Intervista ad Antonio Albanese
Finalmente l’hanno acchiappato. Era dal 2015 che Antonio Albanese non faceva teatro e uno spettacolo dal vivo. E ora che è tornato, se ne compiacciono soprattutto gli spettatori che in pochi giorni hanno esaurito tutti i biglietti — e alla fine saranno più di diecimila — al Teatro Arcimboldi di Milano dove, dal 23 al 26 febbraio, con una doppia recita il sabato per le richieste, riprende il cavallo di battaglia, Personaggi .
«Questa accoglienza preventiva mi ha commosso e adesso il primo ad essere emozionatissimo sarò io», sospira Albanese, 58 anni, due figli, Beatrice e Leonardo.
Appassionato di arte e di pesca, straordinario attore e regista, è fresco del successo personale nel filmGrazie ragazzi ancora in sala. Poi, c’èGloriadi Francesco Cilea in scena al Lirico di Cagliari fino al 19, sua quarta, raffinatissima regia nell’opera dove presto si cimenterà con altri traguardi mentre, dal 17, è in procinto di partecipare da ospite alla prima puntata diDinner Club 2 ,i viaggi nel food di Carlo Cracco su Prime Video.
Il ritorno a teatro è «un regalo a Milano, perché lì è cominciato tutto 32 anni fa».Personaggi ,con i testi di Michele Serra e lo stesso Albanese, scritto con Piero Guerrera, Enzo Santin, Giampiero Solari che è anche regista, nato nel 2011, è una divertente, commovente e rabbiosa giostra umana, popolata di figure e “tipi” che fanno ridere e paura.
Alex Drastico, il ministro della Paura, il Professore, Cetto La Qualunque… sono i nuovi mostri?
«Sì, sono nuove maschere della Commedia dell’Arte italiana, figure eterne, che parlano al nostro tempo.
Perego era nato nel ’97 ma il modo in cui questo padre parla ai figli racconta la famiglia di oggi e così Alex col mafioso don Antonino, o il Professore che non sa che lavoro fa, ma lo fa. O Cetto che oggi, anzi, pare un moderato».
Ogni riferimento al governo è casuale?
«No, del governo, che vuoi dire?E non mi piace parlare dei politici.
Nei miei personaggi non c’è riferimento a una persona ma a un insieme di gestualità e comportamenti, dal vicino di casa al personaggio illustre, per raccontare un sentimento del tempo».
In “Grazie ragazzi” lei mostra che il teatro può cambiare la vita.
Ci metterebbe la mano sul fuoco?
«Vengo da una famiglia operaia, ero destinato a fare altro, ma ero un ragazzo che sentiva di avere delle cose dentro. Come un fuoco. I libri, il teatro mi hanno aiutato a tirarlo fuori. Io sono la prova che la cultura, la conoscenza, le buone letture sono una leva potente. Poi, certo, ci sono state anche tante persone e potrei citare da Danio Manfredini aMichele Serra e soprattutto Milano, che con i suoi spazi, luoghi, mi ha dato decine di possibilità per esprimermi».
Cinema, opera, teatro: quanto è stato difficile salire i gradini?
«Non direi difficile, però in un certo senso mi riposo quando faccio le regie liriche o un film, perché la comicità è fatica, ha bisogno di molto studio e molte energie. Da più di un anno sto lavorando a uno spettacolo teatrale nuovo, sulle religioni, su un uomo che ha voglia di pregare ma non trova la posizione giusta e la verità è che non so quando riuscirò a debuttare, anche perché ho da fare cose che mi danno gioia al cinema e nuovi progetti nell’opera».
In autunno uscirà “100 domeniche”, quinto film da regista e interprete sui quasi trenta che ha fatto. Perché lo ha girato nei luoghi della sua gioventù, Olginate, dove è nato, Lecco, Garlate...
«Pensi che in una scena lavoro al tornio che è lo stesso dove avevo lavorato per sette anni da ragazzo, più di trent’anni fa.
Il signor Gnecchi, il mio padrone di allora, non c’è più ma il figlio mi ha riaperto la piccola azienda. Io quei luoghi li amo profondamente.
Il film è una storia amara, la discesa all’inferno di un uomo onesto, un operaio in prepensionamento il quale scopre che i suoi risparmi sono persi per colpa di alcune persone che hanno ucciso il suo sogno. Forse sono tornato lì, a Olginate, perché la storia allude a valori che lì avevo conosciuto, dove ho ancora amici come Don Davide Milani che ha aperto un cinema a Lecco perché non ce n’erano più.
Ci sono tornato per vedere, per capire perché questo Paese sta rallentando, perché è in ritardo».
Cosa non le piace dell’Italia?
«Questa ossessione, direi disperazione che c’è in giro, nel voler mostrarsi più bravi degli altri, superiori, quello che ne sa di più. Mi viene in mente il mio personaggio, il sommelier. Ecco siamo un po’ come lui: ridicoli. E ciò che stiamo perdendo è il buon senso, una salutare normalità».