la Repubblica, 15 febbraio 2023
Intervista a Cannavacciuolo
Papà Andrea non aveva preferenze, ma c’era un mestiere che proprio non voleva facesse: il cuoco. Perché cuoco era già lui e sapeva quanto fosse difficile. Ma il piccolo Antonino Cannavacciuolo il fuoco sacro della cucina lo aveva nel dna. Così ecco negli anni Ottanta l’inizio con la scuola alberghiera, poi la gavetta d’ordinanza e, alla fine dei Novanta, la sfida di un ragazzone campano alla conquista del Piemonte.
«Non è stato facile in principio. I piemontesi — racconta — sono meravigliosi, generosi e grandi lavoratori, ma all’inizio ti mettono alla prova». Ma siccome le sfide non lo hanno mai spaventato, il giovane chef arrivato da Vico Equense macina ore di lavoro, tra sforzo creativo e stile nel piatto. Conquista la prima stella Michelin nel 2003 e fa il bis nel 2006 (sono diventate tre l’anno scorso), conquista anche il pubblico televisivo in programmi come Masterchef, forte di radici salde e sapori meridionali, interpretati con le sue esperienze di viaggio personale. Ne nascerà anche un menu, “Dal Sud al Nord Italia”, i cui piatti sono un riassunto della Penisola: dalla Trota in carpione agli Scampi crudi alla “pizzaiola” con acqua di polpo, passando per il suosignature dish ,la Linguina diGragnano con calamaretti e salsa al pane di segale.
Ecco, il Sud è il faro in cucina, non solo come origine dei suoi ingredienti preferiti. «Il Sud è una filosofia di vita — racconta per il numero speciale del Gusto domani in edicola — che accomuna tutti i sud del mondo».
Se dovesse descriverlo a
qualcuno che non conosce l’Italia, come racconterebbe il Sud?
«Il Sud è l’anima che sdrammatizza tutto, nel bene e nel male, che cerca la luce della positività anche nei momenti bui. A volte anche sembrando ingenua. Oggi per esempio con il Napoli primo in classifica sembra che tutti i problemi siano finiti, come se una squadra di calcio potesse cambiare la vita. Ci hanno forgiato il clima e l’ambiente: le onde che sbattono sulla roccia e donano iodio. Penso che il mare e il sole influenzino il nostro umore».
Molto del suo successo è a Orta San Giulio, è stato difficile far capire al Nord la sua cucina?
«All’inizio non è stato facile, prima devi dimostrare chi sei, è come essere sotto esame. Solo dopo 5 o sei anni hanno visto la mia serietà e hanno cominciato ad aprirsi. E quando ti aprono le porte sono meravigliosi. E qui poi si lavora benissimo».
Quanto è meridionale la sua cucina?
«La mia cucina al Nord parla meridionale, anche in senso letterale: perché il 50 per cento del personale è napoletano. Ogni tanto li prendo in giro e dico “oh basta, qui si parla italiano”. Comunque, alla fine, ci tengo a dirlo, la cucina nasce sempre da un viaggio. Dal Sud al Nord o viceversa. La ricchezza sta nell’incontro».