La Stampa, 15 febbraio 2023
Marco Giallini ai fornelli
Una landa brulla e desolata. Sole a picco. Due uomini avanzano su un tratturo perso nel nulla della Sicilia Orientale. «Ma chi me l’ha fatto fare», urla Marco Giallini. Con lui c’è, impeccabile, Carlo Cracco. Ritorna per la seconda stagione Dinner Club (su Prime il 17 e 24 febbraio) avventura di viaggio e gastronomia, alla scoperta delle tradizioni alimentari del nostro Paese. Cambiano le regioni (con la Sicilia, la Sila, l’entroterra Romagnolo, il Sud Tirolo), e il cast (oltre a Giallini ci sono Antonio Albanese, Paola Cortellesi e Luca Zingaretti, cui si aggiungono Sabrina Ferilli e Luciana Littizzetto, veterane della prima stagione), ma non il gran finale: tutti insieme attavolati ad assaggiare le prelibatezze scoperte on the road poi riprodotte in studio dai viaggiatori. Cin cin e gran cagnara, prese in giro e divagazioni sull’esperienza appena vissuta.
Giallini, davvero: ma chi glielo ha fatto fare?
«Io. Come ho saputo che stavano preparando la nuova stagione ho mandato avanti la mia agente. Sono curioso, mi piace viaggiare e mangiare. Ma non mi aspettavo posti così».
Ma il suo amico Mastandrea, che tanto aveva sofferto nella prima stagione, non le aveva detto della vena sadica del programma?
«Siamo più che amici: è il padrino di mio figlio. Ci vediamo spesso ma non parliamo mai di lavoro. Agli inizi, forse, ma ora sono le cose di famiglia il nostro argomento preferito».
Confessi, ha rimpianto il clima della Val d’Aosta?
«Be’, non sempre: siamo stati anche al mare a prendere i ricci. Ma sì, ormai Aosta fa parte della mia vita e della mia anima: ho passato lì tre anni della mia vita. Il suo clima malinconico un po’ si addice al mio carattere. Mi sono anche abituato al freddo e alla neve. Sono legatissimo a Rocco Schiavone, il personaggio che più mi rispecchia. L’ho detto a Manzini: lo ha scritto su di me, anche nelle malinconie e per alcune vicissitudini della vita».
Novità su Schiavone?
«Non sostanziali: la sua vita ha preso quella piega. Continua ad indagare, ma più che catturare assassini a lui interessa andare alla ricerca dell’uomo e del suo male di vivere, che è poi la sua stessa sofferenza».
Ha virato la boa dei 35 anni di carriera. Le vengono attribuito 80 titoli. Schiavone a parte, altre tappe memorabili?
«È il 1986, ci vengono a prendere direttamente all’Accademia d’Arte Drammatica per una giornata sul set di Grandi magazzini: 250 mila lire (ai tempi mio padre ne prendeva 450 al mese). 2016, Perfetti sconosciuti, un grande successo, il film con più remake nel mondo».
L’anno che verrà?
«La serie Non ci resta che il crimine. 1970 per Sky: Massimiliano Bruno alla regia, e i soliti noti che già erano nei film, io, Morelli, Tognazzi...».
Che rapporto ha con il cibo?
«Ottimo. Mi piace mangiare se qualcuno cucina per me. Mi piace anche fare da mangiare: non me la cavo affatto male. È una delle cose belle della vita».
Quali le altre?
«A parte le donne? Le moto, anche se non corro più come una volta: mi sono spaccato tutto e ho rischiato di morire: ho smesso quando sono diventato padre. La pittura, grande passione fin da bambino. La musica, il rock vero, Velvet Underground e Joy Division, mica questi ragazzetti tutti tatuati».
E i Måneskin?
«Anche. Ma il glam rock è Bowie»
Sanremo?
«Certo che l’ho seguito, mica sono come quegli snob che "mai nella vita". Con Mastandrea e Santamaria ci saremo mandati mille messaggini. Mi è piaciuto Mengoni. E Ultimo. Ma il mio preferito è Grignani, anima da vero rocchettaro».