La Stampa, 15 febbraio 2023
Il grande spreco di vaccini
Il Covid batte in ritirata, gli italiani si vaccinano sempre meno e i magazzini si riempiono di dosi destinate al macero. A fine 2023 potrebbero essere 173 milioni le dosi inutilizzate, visto che ora dai contratti secretati spunta a sorpresa una clausola capestro che obbliga l’Europa ad acquistare quest’anno da Pfizer altri 450 milioni di dosi, 61,1 destinate all’Italia, alla quale spetta il 13,6% del totale. Uno spreco che alla fine rischia di costarci oltre tre miliardi di euro, che sarebbe stato utile investire nella nostra sanità pubblica a corto d’ossigeno.
Partiamo dagli ultimi antidoti arrivati a fine estate, quelli aggiornati su Omicron 4 e 5, dominanti fino ad ora in Italia. Di questi ancora da somministrare resterebbero 15 milioni di dosi acquistate nel 2022, più altri 61,2 milioni che ci verranno scaricati dalla Pfizer nel corso del 2023 in base alle clausole concordate a livello di Commissione Ue. Ora si sta cercando di spalmare questa valanga di nuovi arrivi su più anni. Ma comunque vada sono fiale destinate a restare imballate nelle scatole, visto che in sette giorni, dal 6 al 12 febbraio, la media delle somministrazioni è stata di 3.421 al giorno e il numero è in costante calo. Facendo due conti, con questo passo da lumaca per smaltire la montagna di fiale ci vorrebbero qualcosa come 139 anni.
Ieri è trapelata la notizia che il New York Times avrebbe deciso di portare la Commissione Ue in tribunale per non aver reso pubblico lo scambio di messaggi tra la presidente von der Leyen e il Ceo di Pfizer, Albert Bourla, riguardo al negoziato che ha portato all’acquisto dei vaccini anti-Covid. Certo è che resta difficile comprendere come mai in questi 76 e passa milioni di dosi siano compresi i 19 milioni aggiornati su Omicron 1. Acquistati dall’Ue e autorizzati dall’europea Ema appena una manciata di giorni prima che venisse accesa la luce verde a quelli aggiornati sulle nuove sottovarianti di Omicron 4 e 5. Come se non si fosse saputo che a quel punto quasi tutti avrebbero preteso i «nuovi modelli», nonostante gli esperti dell’ex Cts si affannassero a dire che erano più o meno simili a quelli tarati sulla versione originaria di Omicron, ormai scomparsa in Italia.
La conta non è comunque finita qui, perché al fardello vanno aggiunte 9 milioni di dosi della francese Sanofi, acquistate nel lontano 2020 ma in consegna solo ora. Così si arriva a un totale di 80 milioni. Fin qui per restare all’era Omicron. Perché alla conta degli antidoti inutilizzati vanno poi aggiunti i 28 milioni andati in scadenza a fine 2022, secondo quanto affermato a suo tempo dallo stesso generale Tommaso Petroni, a capo della task force per il completamento della campagna vaccinale. A questi vanno infine sommati i 60 milioni di dosi donate all’Africa. Rimaste in larga parte inutilizzate, soprattutto per problemi logistici, visto che spesso sono arrivate dove non c’erano nemmeno i frigoriferi per conservarle.
Fatta la somma si arriva a 173,1 milioni di dosi inutilizzate, salvo improbabili e non augurabili nuove e impetuose ondate. I contratti con le case farmaceutiche sono secretati ma il vaccino Pfizer nella prima versione è costato 16 euro a dose, quello aggiornato su Omicron 19 euro, nonostante il fatto che per aggiornare il vaccino ci siano voluti poco più di due mesi e che di solito all’aumentare delle dosi acquistate il prezzo scende. In tutto fanno oltre tre miliardi di euro gettati al vento. Anche se, è bene ricordarlo, gli acquisti sono sempre stati fatti a livello centralizzato dall’Ue. Fermo restando che l’Italia sarà comunque chiamata a pagare il conto, perché è poi la nostra struttura commissariale che ha dovuto stipulare e onorare i contratti con Big pharma, all’interno degli accordi quadro definiti con la Commissione Ue.
L’Europa ha puntato a garantire la massima copertura vaccinale possibile, hanno sempre ricordato in passato Aifa e Css. Ma resta da capire perché si sia deciso a settembre di partire subito con milioni di vaccini che sarebbero stati superati a breve da prodotti più aggiornati, pur avendo in cascina ancora milioni di dosi inutilizzate di antidoti tarati sul ceppo originario di Wuhan. Tra l’altro ampiamente efficaci a prevenire i rischi di ospedalizzazione e di morte. Ma soprattutto non si comprende per quale motivo la Commissione europea abbia dovuto accettare da Pfizer clausole capestro che la vincolano all’acquisto di centinaia di milioni di dosi, 450 nel 2022 e altrettante quest’anno, indipendentemente dall’andamento epidemico o dallo spuntare di nuove varianti. Si dirà che questi sono ragionamenti validi con il senno del poi, non quando tutti i Paesi erano lanciati alla corsa all’acquisto per frenare una pandemia che stava seminando morte e distruggendo l’economia. Ma il potere contrattuale delle aziende si sarebbe dovuto in qualche misura attenuare, considerando che Pfizer, Moderna, Johnson&Johnson, Novavax e Astra Zeneca hanno ricevuto complessivamente quasi 10 miliardi di finanziamenti pubblici per sostenere la ricerca da Usa, Gran Bretagna e Ue. E che anche senza clausole vessatorie alle industrie non sarebbe comunque andata male lo dicono i ricavi 2021: circa 45 miliardi Pfizer, 16 miliardi per Moderna, che nel 2019 non andava oltre i 55 milioni.
Che non tutto abbia funzionato per il meglio deve averlo pensato del resto anche la Corte dei Conti europea, che a settembre ha bacchettato von der Leyen in un report che menziona come «un caso di cattiva amministrazione» il «rifiuto della Commissione europea di concedere l’accesso del pubblico ai messaggi di testo scambiati tra la presidente della Commissione e l’amministratore delegato di Pfizer durante i negoziati preliminari». Manchevolezze pagate a caro prezzo anche dall’Italia.