Avvenire, 15 febbraio 2023
Biografia di Molière
Poteva arrivare alla corte come tappezziere, decoratore e fornitore di arredi per la casa reale. Decise di arrivarci come uomo di teatro. Cosa questo volesse dire, per il discredito in cui era tenuto l’autore di commedie, si vedrà poi alla morte di Molière, nato Jean-Baptiste Poquelin, nel gennaio del 1622. Il mestiere di tappezziere era almeno senza ambiguità o disonore, senza rischi. Ma lui, primo di sei figli, lo lasciò al secondo. Vissuta la prima umana tragedia, con la morte della madre quando ha dieci anni, il teatro lo circondò fin dall’adolescenza. Il nonno materno lo porta con sé ogni volta che assiste a una tragedia, all’Hôtel de Bourgogne, il genere teatrale senza cattiva reputazione; e lui ogni volta che può scappa al Pont-Neuf dove si tengono le farse che attirano il popolo.
La via dunque è tracciata. Nella sua carriera praticherà commedie miste di farsa e di dramma, per impulso personale oltre che per incontrare la predilezione di tutti. Quando tentò la tragedia-tragedia, Don Garcie de Navarre (1662-1663), fallì. E non smise si comporre farse pure, senza sosta. Ciò che solleva le sue commedie più note, naturalmente - Tartufo, Il misantropo, L’avaro e le fa memorabili è lo spontaneo deviare verso il serio e il drammatico. Il che solo in parte si può fare per calcolo. Intorno ai vent’anni dunque è tutto deciso. L’incontro con Madeleine Béjart, attrice e danzatrice, determinante per la sua vita privata, segnerà anche il genere che gli darà la fama.
Ventunenne, nel 1643, ha già fondato con la Béjart l’Illustre Théâtre. Che dopo due anni fallisce: non c’è posto per loro a Parigi, per dire meglio. Iniziano i peregrinaggi lontano dalla capitale, per oltre dieci anni e con successo crescente. I signori locali finanziano la compagnia e Molière fa il suo apprendistato scrivendo e salendo sul palco. Il successo riconduce la compagnia a Parigi e alla corte, nel 1658. Mette in scena il Nicomède seguito dalla farsa Le docteur amoureux.
Scelta più che opportuna, perché il re apprezzerà la farsa più che la tragedia di Corneille. La rappresentazione del Tartuffe implica una prima rottura. O seconda, dopo le polemiche della Scuola delle mogli.
Gli attacchi inducono il re a proibirla, Molière cambierà il protagonista, che era un (falso) uomo di religione, e rimette in circolo la “nuova” commedia. Finalmente dissequestrata, nel 1669 è rimessa in scena nella prima versione. Malgrado le polemiche e gli attacchi, suscitati dalle compagnie rivali, i capolavori sembrano uscire l’uno dall’altro.
Nello stesso giro d’anni dell’Avaro (1668), oscurato dal rientro trionfale del Tartufo, nasce il Misantropo (1666), forse la sua opera maggiore. Ogni residuo di farsa è bruciato dal protagonista, Alceste, e da Célimène che non è meno di una co-protagonista (e nessuno degli altri personaggi è convenzionale). Amata o amante di Alceste o forse nessuna delle due, poiché è tutto nella testa di Alceste dove cresce e vive una realtà inesistente fuori. Alceste atto dopo atto cerca di affrancarsi dai caratteri del ridicolo, fino all’epilogo aperto e come troncato da un colpo netto. Célimène è un personaggio altrettanto o più vivo, sinceramente aperta verso il mondo, libera dall’ossessione dell’opinione altrui, libertina forse solo nelle maldicenze di chi le si raduna intorno senza sosta. Le sventure private insieme a quelle della carriera non ostacolano la scrittura di Molière, anzi sembrano incentivarla. Nel 1662 aveva sposato la sorella minore di Madeleine Béjart, Armande, unione che si rivelerà infelice. La lunga personale pratica dei medici, con la tubercolosi contratta tre anni dopo, lo conferma nel concetto che si è fatto della categoria una lunga tradizione teatrale – e ribadita in molte sue farse – e la sua ultima rappresentazione, Il malato immaginario, è ancora dedicata a loro. Ma un malato vero, Molière, e malato grave come si vedrà ben presto interpreterà Il malato immaginario. (Già aveva prestato all’Arpagone dell’Avaro una realissima tosse). Il malato immaginario debutta il 10 febbraio del 1673.
Alla quarta rappresentazione del 17 il protagonista ha un malore che lo porterà alla morte, ma non prima di essere uscito di scena.
Meno di un anno prima aveva perso il padre e l’amata Madeleine. La moglie Armande otterrà da Luigi XIV la sepoltura cristiana, nottetempo, che la chiesa negava a “le comédien”.
Per «non voler rimedi – si legge del terzo atto della commedia – non gli mancano le ragioni.
Rimedi non sono permessi che a persone vigorose e robuste, dalle forze in abbondanza per sopportare, insieme alla malattia, i medicinali. Quanto a lui, le forze gli bastano per la sola malattia»