il Fatto Quotidiano, 15 febbraio 2023
Quanti bei nomi tra i repubblichini di Salò
a Dario Fo a Raimondo Vianello, da Ugo Tognazzi a Walter Chiari, da Giorgio Albertazzi a Enrico Maria Salerno: e con loro i giornalisti Enrico Ameri e Mauro De Mauro, il futuro deputato missino Mirko Tremaglia, lo storico Roberto Vivarelli. Ci sono tanti nomi diventati illustri tra le decine di migliaia di uomini in uniforme della Repubblica sociale italiana che nella primavera 1945 giungono al capolinea della loro militanza fascista. Alcuni vengono arrestati dalle truppe angloamericane negli ultimi giorni di guerra, altri si arrendono per sfuggire alla giustizia insurrezionale, altri ancora sono consegnati alle truppe alleate da formazioni partigiane moderate. Sono i “vinti”della guerra civile, i “ragazzi di Salò”, adolescenti o poco più che dopo l’ar – mistizio dell’8 settembre 1943 hanno scelto la continuità con i valori del combattentismo nel quale il Ventennio li ha educati e che in nome di un senso malinteso della patria e dell’onore sono andati volontari a cercare la dannunziana “bella morte”. La maggior parte di loro viene ammucchiata nel campo di prigionia di Coltano, alle porte di Pisa, dove resta fino alla fine del 1945 in attesa che siano verificate eventuali responsabilità in crimini contro i combattenti partigiani: il campo è una vasta agricola di 1200 ettari senza l’ombra di un albero, presidiata da reparti della 92ª divisione americana “B u ff a l o”. Di questa esperienza controversa alcuni hanno parlato senza reticenze. Raimondo Vianello, volontario in un reparto di bersaglieri, in un’intervista del 1998 esordisce sornione dichiarando “non rinnego né Sanremo né Salò”, poi continua con l’analisi della stagione drammatica vissuta dalla sua generazione: prima l’educazione del Ventennio, con i miti dell’eroismo e della patria; poi la guerra fascista 1940-43, i morti, le sconfitte; poi ancora l’8 settembre, il crollo della nazione, l’atmosfera diffusa di tradimento. Per un ventenne come Vianello la Repubblica sociale significa continuità con la cultura di provenienza: “I giovani che sono andati a Salò dovrebbero essere più rispettati, se non altro per i loro ideali ispiratori – afferma nell’intervista –Erano spinti dall’idea di non abbandonare la battaglia, anche se destinati a perdere, e questo conferisce dignità morale alla scelta. Chi è andato su sapeva di finire male. Non va abiurato”. La riflessione esula da considerazioni su che cosa sarebbe accaduto in Europa se tutto il continente fosse caduto sotto il nuovo ordine dominato da Hitler, ma stabilisce una distinzione netta tra le responsabilità del regime (“ciò che va rinnegata è l’esperienza del regime, la dittatura, anche perché il fascismo imborghesendosi ha tradito le sue origini socialiste”) e la “buona fede” dei “ragazzi di Salò” che “sono andati a combattere della Rsi non per vincere la guerra, ma per tenere fede alla parola data”. (….) Altri non hanno rilasciato interviste specifiche sulle ragioni della scelta, ma non hanno negato l’appartenenza alla Rsi. È il caso di Enrico Maria Salerno, che arriva al campo di Coltano nel luglio 1945: è un giovanissimo, classe 1926, a 17 anni si è arruolato volontario della Guardia Nazionale Repubblicana. Anche per lui, una scelta di campo figlia dei miti coltivati nella Gioventù Littori a. Dell ’ambiente di Coltano ha il ricordo del caldo sfibrante e dei maltrattamenti: “Attorno al campo, chiuso dai reticolati e dalle torrette di guardia, c’erano pini altissimi e ombrosi, ma il campo era al sole cocente, non un albero, non un angolo d’o m b ra”. Rispetto al passato repubblicano, nessuna abiura e nessuna rivendicazione da parte sua: semplicemente, la consapevolezza di una stagione diffi c i l e, attraversata nell’età più fragile, l’adolescenza. E la coscienza di ciò che è stato diventa lo strumento per un’attività artistica dove la testimonianza democratica è sincera quanto priva di pregiudizi. Non a caso egli esordisce come attore pro – tagonista ne La lunga notte del ’43, film del regista Florestano Vancini e tratto da un testo di Giorgio Bassani, ambientato nella Ferrara del novembre 1943, dove per rappresaglia gli squadristi di Salò fucilano dieci cittadini inermi accusati di attività antifascista. Un altro personaggio dello spettacolo che non ha mai smentito le sue scelte giovanili, e che secondo alcune fonti è stato prigioniero a Coltano, è Walter Michele Armando Annichiarico, per tutti Walter Chiari. Nato nel 1924 a Verona, dopo un’adolescenza irrequieta tra studi irregolari e lavori improvvisati, nel 1944 Chiari entra nella Decima Mas di Junio Valerio Borghese e collabora con alcune vignette satiriche al giornale del reparto, L’Oriz – zonte. Le testimonianze sulla sua esperienza militare non sono concordi. Secondo alcuni, dopo un periodo con i marò del “Principe Nero”, egli si aggrega volontario a reparti della Wehrmacht e partecipa alla battaglia delle Ardenne; dopo la sconfitta germanica sul Reno, egli rientra rocambolescamente in Italia, dove nel maggio 1945 viene arrestato e imprigionato a Coltano. Secondo altri, egli viene catturato a Milano nei giorni della Libera z i o n e ma, facendosi credere ex internato militare fuggito dai campi germanici, ott i e n e il rilascio e può rientrare a casa sua a Verona. In ogni caso, la sua adesione alla Rsi è riconosciuta e mai smentita, così come traspare anche da alcune sue battute colte dalle cronache: in un teatro di Genova, nel 1975, saluta dal palco “gli amici della prima fila e anche della decima”, in riferimento alla Decima Mas. Uomo destinato a una brillante carriera universitaria e storico noto per la nettezza delle sue posizioni antifasciste è Roberto Vivarelli, classe 1929, che nell ’estate 1944, appena quindicenne, ottiene di entrare nelle Brigate Nere. I suoi conti con il passato sono lucidi e onesti ed esprimono ciò che molti prigionieri di Coltano hanno pensato senza avere il coraggio per esprimerlo: “Se qualcuno mi chiedesse se sono pentito di aver combattuto nelle file della Repubblica di Salò, risponderei di no, pur essendo oggi consapevole che la causa era moralmente e storicamente ingiusta”. Riconoscere le motivazioni delle scelte non significa riabilitare la Rsi, ma evitare che essa funga da assoluzione per tutti coloro che hanno rimosso il proprio passato di cittadini irreggimentati: “Il tribunale speciale, le leggi razziali, l’alleanza con Hitler, l’intervento in guerra al fianco di coloro che sembravano allora i vincitori, sono fatti odiosi che ben più di Salò hanno qualificato il fascismo”.