il Giornale, 15 febbraio 2023
Le vite di cinque musicisti
Nel libro Misteri per orchestra (Marsilio) il giornalista Filippo Facci indaga i lati controversi delle vite di Mozart, Paganini, Rossini, Wagner e Ciajkovskij. Giusto un assaggio, la lista dei misteri e curiosità d’artista sarebbe lunghissima, per questo il volume di Facci è lo sprono a leggere le biografie dei musicisti: veri e propri romanzi segnati da svolte, sorprese, ribaltamenti, scioglimenti che di nuovo conducono alla stasi, sorpresa e via discorrendo. Esistenze tumultuose che si riversano in composizioni intense, traboccanti di vita, lungi dalla polvere associata alla cosiddetta classica, a dire il vero generata da un mondo parallelo e via via mummificato che nei decenni si è venuto a creare attorno alla sostanza primigenia, quella da sempre vibrante: la musica. Facci si mette sulle tracce dei cinque compositori frugando tra scritti, che confronta con lo spirito di uno Sherlock Holmes. Vaglia indizi, prove, ipotesi, tesi e argomentazioni anche con la consapevolezza che «molti misteri non sono misteri per niente: sono solo dei miti che hanno sedotto l’ingenuità popolare». Prendiamo la causa della morte di Pëtr Il’ic Ciajkovskij. Assunse veleno o bevve l’acqua contaminata? Se sì: la bevve per togliersi di mezzo così da non compromettere ragazzi, e rispettive famiglie, con cui aveva relazioni? Una cosa è certa, ricorda l’autore: se fu suicidio, non è nel peccato (così allora) d’omosessualità che va ricercato il movente, perché se è vero che per questo si poteva finire in Siberia è altrettanto comprovato che la corte chiudeva uno e pure due occhi. E così è interessante riandare alle varie ricostruzioni, ma per la prova inconfutabile più che alle fonti della musicologia dovremmo affidarci a un RIS d’ultima generazione. L’interesse del libro sta dunque nel fatto che vengono riferiti in un sol colpo i lati intriganti e pure godibili – su tutti, quelli riferiti a Rossini – di vite rocambolesche: note ad appassionati e addetti ai lavori, ma poiché la musica è ormai uscita dalle programmazioni scolastiche è novità per tutti gli altri. Nel capitolo su Richard Wagner e corollari, l’autore ripercorre l’albero genealogico che promana dal compositore. Sosta quindi sulla figura di Gottfried, classe 1947, pronipote del musicista e con gli anni diventato l’Harry (dei Reali d’Inghilterra) della situazione: vedi l’indice costantemente puntato contro la famiglia, che dunque lo ripudiò. Si riporta l’episodio in cui un Grottfried fanciullo entra nella «stanza segreta che era posta sopra il laboratorio dei pittori di scena. C’era un enorme quadro a olio che raffigurava quel tizio, Hitler, che teneva al guinzaglio un grosso cane lupo. C’erano dei pesanti libroni che parlavano di razze umane. C’erano anche delle fotografie: la nonna, papà, lo zio. Tutti insieme a Hitler». A sciogliere gli interrogativi del bimbo ci pensò il portiere del teatro, «Il Führer era stato spesso a Bayreuth e amava molto la famiglia Wagner». Poi, al giovane si aprì un mondo. Comprese perché la nonna «usava quella misteriosa sigla Usa che peraltro pronunciava soprattutto ogni 20 aprile, nel corso di un’incomprensibile festa: Usa stava per Unser Seliger Adolf, il nostro caro estinto Adolf, e il 20 aprile era il compleanno di Hitler». Venne a sapere che «zio Wieland era stato messo a comandare il campo di concentramento di Flossenbürg» mentre l’unica zia antirazzista non ebbe altra scelta che l’esilio. Grottfried ha tentato varie vie professionali, e ormai da decenni «vive a Cerro Maggiore. Ha un figlio di nome Eugenio, un cane e una vecchia Audi. È l’unico discendente che ha lo stesso naso a becco d’aquila del bisnonno». La morte di Wolfang Amadeus Mozart è davvero un mistero? s’intitola un capitolo. Risposta a freddo, «nel tempo si è rivelata una clamorosa esercitazione per ciarlatani», seguono spiegazioni. Certo, il quadro è stato peggiorato dal film Amadeus di Milo Forman sulla scia del quale «milioni di persone pensano che Mozart sia morto perché l’invidioso Antonio Salieri cospirò sino a commissionargli un requiem fatale che voleva spacciare per suo». Così come il film Shine, aggiungiamo noi, ha contribuito a divulgare l’immagine del pianista-individuo perennemente sull’orlo di una crisi di nervi mentre stando al film Tar, in questi giorni al cinema, pare che un direttore d’orchestra, uomo, donna o fluido, sia un dittatore dimorante sul podio: la realtà è che è un leader e, come spiega il termine, per professione è chiamato a «guidare», a decidere, ad ascoltare. E «chi comanda è solo», per dirla con Sergio Marchionne. Sulla vita maledetta di Paganini sono state scritte pagine e pagine. Facci le ripercorre e riesce a volgere in commedia la tragedia della morte del grande virtuoso, sempre perseguitato. Anche da morto.