La Stampa, 15 febbraio 2023
Calenda, Churchill e la Thatcher
Ha armato un bel po’ d’umorismo la valutazione della sconfitta del Terzo polo elaborata da Carlo Calenda: hanno sbagliato gli elettori. Chi ritirava fuori Bertold Brecht ("Poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo"), chi Corrado Guazzanti ("Se i partiti non rappresentano più gli elettori, cambiamoli questi benedetti elettori"). Ma, correndo il rischio che Calenda la prenda troppo sul personale, si potrebbe ricordare come andò il primo ballottaggio, quello fra Gesù e Barabba. Cioè, non sempre la maggioranza ha ragione. Io mi chiedo, per esempio, proprio come Calenda, perché nel Lazio non abbia vinto quel sant’uomo di Alessio D’Amato, e in Lombardia abbia rivinto Attilio Fontana, visto come è andato il Covid nelle due regioni. E in fondo preferisco uno così sventato da candidarsi in un Paese che accusa di non saper votare, piuttosto di un altro determinato a lasciare l’Ucraina in pasto alla Russia poiché la maggior parte degli italiani hanno le tasche piene della guerra. E qui, infatti, ci verrebbe in soccorso Margaret Thatcher, secondo la quale una maggioranza non può trasformare ciò che è sbagliato in giusto, e pure quel titano di Winston Churchill, secondo il quale il migliore argomento contro la democrazia è una conversazione di cinque minuti con un elettore medio. E pertanto il nostro Calenda, in così illustre compagnia, appare un po’ meno ciondolone di come l’hanno dipinto. Però rimane un dettaglio a giocare a suo sfavore, e sarebbe un delitto trascurarlo: Margaret Thatcher era Margaret Thatcher, e Winston Churchill era Winston Churchill. Calenda no.